Ciò che al tempo Aristotele codificò nei tre atti, rappresenta tutt’oggi un
validissimo parametro narrativo di riferimento.
Si può pensare che Aristotele non abbia codificato i tre atti attraverso un
particolare studio sulla drammaturgia, ma abbia tratto i suoi parametri
narrativi dalla rappresentazione dei sogni sui quali compose alcuni trattati.
Già al tempo commediografi e drammaturghi erano in grado di rappresentare l’animo
umano nelle più intime e profonde sfumature, fini conoscitori di dinamiche
relazionali individuate attraverso l’esperienza e l’osservazione. Su tutti il
dramma di Edipo di cui, molti secoli dopo, Freud si servì per approfondire
alcune delle sue teorie.
Drammaturghi e commediografi greci, e forse ancor prima egizi e assiri,
avevano già compreso perfettamente come funzionavano ‘le cose tra gli uomini’,
le forze che li legavano. Si può risalire all’Epopea di Gilgamesh (5000 anni fa
circa), per capire quanto gli antichi fossero avanti in questo genere di
conoscenza.
Poi Aristotele mise nero su bianco. Scrisse il primo libro sulla scrittura,
la Poetica. Un libro in cui affronta il problema della scrittura, dando
coordinate, indicando direzioni, definendo stili all’interno dei tre atti.
Aristotele quindi si “limitò” a codificare la forma narrativa espressa dai
sogni degli esseri umani. Paure e aspirazioni rappresentate in una ‘striscia’
di immagini oniriche. Sogni che, vale tutt’oggi per tutti noi, si rappresentano
invariabilmente in quella striscia costituita da tre blocchi, cioè da ‘tre
atti’: situazione data, esposizione del problema, risoluzione. (Da notare che a
quei tempi i sogni erano gli stessi di oggi: inseguimenti e paura di non
riuscire a volare, visioni di sangue, timore della nudità all’interno di un
gruppo, etc.).
Una struttura narrativa ispirata quindi dalla biologia.
La nostra mente infatti, nel sonno, accende una specie di faro sul nostro
inconscio. E, come la lampada di Diogene, si mette in cerca della ferita da aggiustare. Un Pronto
Intervento Notturno in cui la mente cerca di curare come può ferite antiche non
del tutto rimarginate mostrate dall’inconscio (rappresentate nella veglia da
paure e confusione), che eventi del quotidiamo hanno riaperto. L’inconscio insomma
illustra il problema alla mente servendosi di immagini (animali, oggetti,
persone conosciute o sconosciute) prese a prestito della realtà per rendersi
leggibile, per rendere leggibile la biologia di cui è costituito. L’inconscio cerca
di trasformare il dolore in immagini affinché la mente possa comprenderne il
senso ed elaborarlo.
È questo il sogno: il racconto di una sensazione dolorosa che l’inconscio
trasforma in immagini per la mente. E non è questo un film? O un romanzo? Il
racconto di un dolore per immagini?
L’uomo sogna in tre atti, o meglio, il dolore dell’uomo si esprime nei
sogni in tre atti. Come se qualcuno dicesse: tu patisci questo (I atto), cerchi
di aggiustartelo (II atto), e alla fine ecco cosa ci ricavi (III atto).
Questo processo riguarda anche qualsiasi nostra esperienza nella veglia:
desideriamo fare una cosa, ci proviamo e ne cogliamo gli esiti. Ho fame, cerco
il cibo, lo mangio. Il livello dell’esito finale di ogni azione stabilisce il
grado della nostra capacità di padroneggiare la realtà. Cosiccome l’esito
finale di ogni sogno stabilisce il livello della nostra capacità di affrontare
il problema.
Per questo la “regola” di Aristotele regge all’usura del tempo, perché
desunta dalla nostra biologia. Non possono esserci quattro atti o cinque,
neanche due, anche se spesso queste scansioni narrative vengono liberamente interpretate.
Di base, di fondo, si tratta sempre dello stesso problema affrontato in tre momenti.
Ecco perciò nello specifico cosa avviene nei tre atti:
I ATTO.
Il primo atto è costituito dalla situazione data, che contiene il problema
del protagonista espresso dal timore di affrontarlo, e la minacciosa
prospettiva legata a questo stallo. Quindi il primo atto racchiude anch’esso al
suo interno tre sotto-atti.
Nello schema narrativo questi tre sotto-atti sono definiti in:
- Mondo Ordinario (la situazione data);
- Chiamata e Rifiuto dell’Avventura, ovvero la paura che si manifesta e
l’opposizione ad essa (da notare che in molti manuali sulla scrittura, Chiamata
e Rifiuto vengono trattati nello stesso capitolo);
- Prospettiva di Morte, ovvero la dolorosa condizione di vita a cui il
protagonista non può sfuggire.
Il primo atto cioè ci prepara al racconto, delinea il conflitto. Questa
premessa, chiamata concept,
rappresenta l’argomento di cui tratta il racconto. Il concept ha due versioni: high concept, che considera una
prevalenza dei fatti, del plot; e low
concept che appoggia la narrazione sulle problematiche dei personaggi.
II ATTO.
Anche il Secondo Atto è costituito da tre sotto-atti: la verifica della
condizione minacciosa, l’incontro con la condizione minacciosa, la “morte” a
causa della condizione minacciosa.
Nello schema narrativo:
- Avvicinamento alla Prova Suprema (verifica della condizione
minacciosa);
- Prova Suprema (incontro con la condizione minacciosa);
- Punto di Morte (“morte” a causa della condizione minacciosa).
(Nel II atto si ricorre a snodi narrativi aggiuntivi per articolare in
maniera più efficace e fluida il racconto, i cui nomi variano da manuale a
manuale. Nel nostro caso si tratta di Amici e Nemici (nella prima parte del
secondo atto) e della Fine dello Stato di Grazia (subito dopo la metà del
secondo atto).
Il secondo atto quindi affronta il problema del protagonista nella sua necessità
di risolverlo. Il protagonista affronta le conseguenze della falsa soluzione
del primo atto. Attraverso ciò prepariamo il terreno al terzo atto dove egli riconoscerà
il proprio errore.
III ATTO.
Nel terzo atto, ugualmente, vi sono tre sotto-atti: la spinta alla reazione,
la condizione minacciosa affrontata, la condizione di nuova vita.
Nello schema narrativo:
- Rimotivazione (la spinta alla reazione)
- Climax (la condizione minacciosa affrontata)
- Nuova Vita (la nuova condizione di vita)
Caratteristica del terzo atto è di risolvere i conflitti del protagonista e
dare risposte alle sue domande; è una fase chiusa che non rimanda ad alcun
altro sviluppo.
Riassumendo:
I atto:
Mondo Ordinario
Chiamata all’Avventura/Rifiuto dell’Avventura
Prospettiva di Morte
II atto:
(Amici, Nemici)
Avvicinamento alla Prova Suprema
Prova Suprema
(Fine dello Stato di Grazia)
Punto di Morte
III atto:
Rimotivazione
Climax
Nuova Vita
Va inoltre osservato che i tre atti si possono considerare approfondimenti
successivi. Il dolore del Primo Atto viene riproposto in maniera più specifica
nel Secondo Atto, e nel Terzo Atto vi è lo stesso dolore del Secondo ma definito
in maniera ancor più profonda, e definitiva.
La Chiamata all’Avventura è l’espressione più superficiale della Prova Suprema, e la Prova Suprema lo è del Punto di
Morte.
Questi tre snodi narrativi sono importanti poiché costituiscono i tre
piloni su cui regge il dolore del protagonista. Nella Chiamata il protagonista impatta
il dolore, nella Prova Suprema ci si confronta direttamente,
nel Punto di Morte ci “muore”. Una sorta cioè di avvicinamento progressivo del
protagonista al problema: prima lo intravede, poi ci si scontra, infine ci
‘muore’ per risorgervi.
Qualsiasi cosa ci riguardi nella vita quotidiana assolve alla regola del
‘tre atti’. Un inizio, una fase di mezzo (la più lunga), una fine. Ancor di più
si potrebbe dire riguardo la nostra vita, con una nascita, una vita, e una morte. E
che i sogni in fondo riflettono l’excursus di quest'universale parabola umana.
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