lunedì 11 agosto 2014

TRE ATTI DA SOGNO


Ciò che al tempo Aristotele codificò nei tre atti, rappresenta tutt’oggi un validissimo parametro narrativo di riferimento.
Si può pensare che Aristotele non abbia codificato i tre atti attraverso un particolare studio sulla drammaturgia, ma abbia tratto i suoi parametri narrativi dalla rappresentazione dei sogni sui quali compose alcuni trattati.
Già al tempo commediografi e drammaturghi erano in grado di rappresentare l’animo umano nelle più intime e profonde sfumature, fini conoscitori di dinamiche relazionali individuate attraverso l’esperienza e l’osservazione. Su tutti il dramma di Edipo di cui, molti secoli dopo, Freud si servì per approfondire alcune delle sue teorie.
Drammaturghi e commediografi greci, e forse ancor prima egizi e assiri, avevano già compreso perfettamente come funzionavano ‘le cose tra gli uomini’, le forze che li legavano. Si può risalire all’Epopea di Gilgamesh (5000 anni fa circa), per capire quanto gli antichi fossero avanti in questo genere di conoscenza.
Poi Aristotele mise nero su bianco. Scrisse il primo libro sulla scrittura, la Poetica. Un libro in cui affronta il problema della scrittura, dando coordinate, indicando direzioni, definendo stili all’interno dei tre atti.
Aristotele quindi si “limitò” a codificare la forma narrativa espressa dai sogni degli esseri umani. Paure e aspirazioni rappresentate in una ‘striscia’ di immagini oniriche. Sogni che, vale tutt’oggi per tutti noi, si rappresentano invariabilmente in quella striscia costituita da tre blocchi, cioè da ‘tre atti’: situazione data, esposizione del problema, risoluzione. (Da notare che a quei tempi i sogni erano gli stessi di oggi: inseguimenti e paura di non riuscire a volare, visioni di sangue, timore della nudità all’interno di un gruppo, etc.).
Una struttura narrativa ispirata quindi dalla biologia.
La nostra mente infatti, nel sonno, accende una specie di faro sul nostro inconscio. E, come la lampada di Diogene, si mette in cerca della ferita da aggiustare. Un Pronto Intervento Notturno in cui la mente cerca di curare come può ferite antiche non del tutto rimarginate mostrate dall’inconscio (rappresentate nella veglia da paure e confusione), che eventi del quotidiamo hanno riaperto. L’inconscio insomma illustra il problema alla mente servendosi di immagini (animali, oggetti, persone conosciute o sconosciute) prese a prestito della realtà per rendersi leggibile, per rendere leggibile la biologia di cui è costituito. L’inconscio cerca di trasformare il dolore in immagini affinché la mente possa comprenderne il senso ed elaborarlo.
È questo il sogno: il racconto di una sensazione dolorosa che l’inconscio trasforma in immagini per la mente. E non è questo un film? O un romanzo? Il racconto di un dolore per immagini?
L’uomo sogna in tre atti, o meglio, il dolore dell’uomo si esprime nei sogni in tre atti. Come se qualcuno dicesse: tu patisci questo (I atto), cerchi di aggiustartelo (II atto), e alla fine ecco cosa ci ricavi (III atto).
Questo processo riguarda anche qualsiasi nostra esperienza nella veglia: desideriamo fare una cosa, ci proviamo e ne cogliamo gli esiti. Ho fame, cerco il cibo, lo mangio. Il livello dell’esito finale di ogni azione stabilisce il grado della nostra capacità di padroneggiare la realtà. Cosiccome l’esito finale di ogni sogno stabilisce il livello della nostra capacità di affrontare il problema.
Per questo la “regola” di Aristotele regge all’usura del tempo, perché desunta dalla nostra biologia. Non possono esserci quattro atti o cinque, neanche due, anche se spesso queste scansioni narrative vengono liberamente interpretate. Di base, di fondo, si tratta sempre dello stesso problema affrontato in tre momenti.
Ecco perciò nello specifico cosa avviene nei tre atti:

I ATTO.
Il primo atto è costituito dalla situazione data, che contiene il problema del protagonista espresso dal timore di affrontarlo, e la minacciosa prospettiva legata a questo stallo. Quindi il primo atto racchiude anch’esso al suo interno tre sotto-atti.
Nello schema narrativo questi tre sotto-atti sono definiti in:
- Mondo Ordinario (la situazione data);
- Chiamata e Rifiuto dell’Avventura, ovvero la paura che si manifesta e l’opposizione ad essa (da notare che in molti manuali sulla scrittura, Chiamata e Rifiuto vengono trattati nello stesso capitolo);
- Prospettiva di Morte, ovvero la dolorosa condizione di vita a cui il protagonista non può sfuggire.
Il primo atto cioè ci prepara al racconto, delinea il conflitto. Questa premessa, chiamata concept, rappresenta l’argomento di cui tratta il racconto. Il concept ha due versioni: high concept, che considera una prevalenza dei fatti, del plot; e low concept che appoggia la narrazione sulle problematiche dei personaggi.

II ATTO.
Anche il Secondo Atto è costituito da tre sotto-atti: la verifica della condizione minacciosa, l’incontro con la condizione minacciosa, la “morte” a causa della condizione minacciosa.
Nello schema narrativo:
- Avvicinamento alla Prova Suprema (verifica della condizione minacciosa);
- Prova Suprema (incontro con la condizione minacciosa);
- Punto di Morte (“morte” a causa della condizione minacciosa).
(Nel II atto si ricorre a snodi narrativi aggiuntivi per articolare in maniera più efficace e fluida il racconto, i cui nomi variano da manuale a manuale. Nel nostro caso si tratta di Amici e Nemici (nella prima parte del secondo atto) e della Fine dello Stato di Grazia (subito dopo la metà del secondo atto).
Il secondo atto quindi affronta il problema del protagonista nella sua necessità di risolverlo. Il protagonista affronta le conseguenze della falsa soluzione del primo atto. Attraverso ciò prepariamo il terreno al terzo atto dove egli riconoscerà il proprio errore.

III ATTO.
Nel terzo atto, ugualmente, vi sono tre sotto-atti: la spinta alla reazione, la condizione minacciosa affrontata, la condizione di nuova vita.
Nello schema narrativo:
- Rimotivazione (la spinta alla reazione)
- Climax (la condizione minacciosa affrontata)
- Nuova Vita (la nuova condizione di vita)
Caratteristica del terzo atto è di risolvere i conflitti del protagonista e dare risposte alle sue domande; è una fase chiusa che non rimanda ad alcun altro sviluppo.

Riassumendo:

I atto:
Mondo Ordinario
Chiamata all’Avventura/Rifiuto dell’Avventura
Prospettiva di Morte

II atto:
(Amici, Nemici)
Avvicinamento alla Prova Suprema
Prova Suprema
(Fine dello Stato di Grazia)
Punto di Morte

III atto:
Rimotivazione
Climax
Nuova Vita

Va inoltre osservato che i tre atti si possono considerare approfondimenti successivi. Il dolore del Primo Atto viene riproposto in maniera più specifica nel Secondo Atto, e nel Terzo Atto vi è lo stesso dolore del Secondo ma definito in maniera ancor più profonda, e definitiva.
La Chiamata all’Avventura è l’espressione più superficiale della Prova Suprema, e la Prova Suprema lo è del Punto di Morte.
Questi tre snodi narrativi sono importanti poiché costituiscono i tre piloni su cui regge il dolore del protagonista. Nella Chiamata il protagonista impatta il dolore, nella Prova Suprema ci si confronta direttamente, nel Punto di Morte ci “muore”. Una sorta cioè di avvicinamento progressivo del protagonista al problema: prima lo intravede, poi ci si scontra, infine ci ‘muore’ per risorgervi.
Qualsiasi cosa ci riguardi nella vita quotidiana assolve alla regola del ‘tre atti’. Un inizio, una fase di mezzo (la più lunga), una fine. Ancor di più si potrebbe dire riguardo la nostra vita, con una nascita, una vita, e una morte. E che i sogni in fondo riflettono l’excursus di quest'universale parabola umana. 

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