Qualcosa sulla Chiamata all'Avventura? Qui Alex "Hitch" Hitchens incontra la sua: Sara Melas (Eva Mendes). Ma la cosa vale anche per Sara. Pane per i loro denti...
sabato 31 maggio 2014
LA "CHIAMATA" DI HITCH E DI SARA
Qualcosa sulla Chiamata all'Avventura? Qui Alex "Hitch" Hitchens incontra la sua: Sara Melas (Eva Mendes). Ma la cosa vale anche per Sara. Pane per i loro denti...
venerdì 30 maggio 2014
CHIAMATA ALL'AVVENTURA: L'OPPORTUNITA'
La Chiamata all’Avventura è il primo vagito della storia. Abbiamo appena
presentato il nostro protagonista lasciando intravedere il suo fatal flaw, il danno emotivo da
aggiustare di cui è inconsapevole, e l’abbiamo fatto senza dirlo
esplicitamente, lasciandolo trapelare con una metafora, un paradosso, o una frase
buttata là magari da qualcun alto.
L’Avventura che adesso il
protagonista impatta è in realtà il richiamo a quel danno emotivo subìto, nei
panni di una bella ragazza (Storie d’Amore) o in quelli di un cattivo spietato
(Storie di Morte). Checché se ne pensi, non ci sono alternative. Sarebbe
infatti altrettanto corretto chiamare questo snodo narrativo – per gli aspetti
“minacciosi” che la zona di racconto contiene - ‘Chiamata alla Paura’.
Nelle Storie d’Amore la chiamata è rappresentata
dall’opportunità sentimentale che scuote il protagonista dal torpore del
quotidiano. Magari egli neanche sa di aver bisogno d’una scossa, non considera
un problema il grigio quotidiano (è la vita, no?), ma quell’improvvisa
‘apparizione’ attiva in lui, o in lei, qualcosa che si era decisamente
appisolato e che chiede energicamente di essere considerato.
Addirittura, in “Qualcosa è
cambiato”, Melvin Udall (Jack Nicholson) avverte la chiamata attraverso una presenza rappresentata con un’”assenza”
(caso per niente raro), cioè la cameriera Carol Connely (Helen Hunt) che non è
al lavoro e che non può servirlo come desidera. Ciò destabilizza il controllo
che Melvin ha sulla propria vita, e lo costringe a considerare qualcosa di
diverso.
Le Storie d'Amore comprendono anche una chiamata a due. "Insonnia d'amore", "Hitch", "Henry, ti presento Sally" o "Pretty Woman" per fare alcuni casi. Il protagonista incontra la anima che gli manca e ne rimane sedotto. Ma in quella stessa circostanza una co-protagonista incontra in lui l'animus che le manca. I due protagonisti, in questo caso, saranno l'una la parte mancante dell'altro e dovranno apprendere e prendere qualcosa dell'altro. Nella chiamata a due l'incontro tra animus e anima diventa un vero e proprio scontro. Scontrandovisi due problematiche l'effetto è esplosivo.
Le Storie d'Amore comprendono anche una chiamata a due. "Insonnia d'amore", "Hitch", "Henry, ti presento Sally" o "Pretty Woman" per fare alcuni casi. Il protagonista incontra la anima che gli manca e ne rimane sedotto. Ma in quella stessa circostanza una co-protagonista incontra in lui l'animus che le manca. I due protagonisti, in questo caso, saranno l'una la parte mancante dell'altro e dovranno apprendere e prendere qualcosa dell'altro. Nella chiamata a due l'incontro tra animus e anima diventa un vero e proprio scontro. Scontrandovisi due problematiche l'effetto è esplosivo.
Il protagonista incontra fisicamente,
in un’altra persona, l’aspetto psicologico di sé stesso che lo rende infelice e
col quale dovrà confrontarsi. La battuta di Woody Allen secondo la quale
incontriamo partners a cui rimproveriamo ciò che i genitori non ci hanno dato,
in questo senso è ineccepibile. Cioè noi troviamo in qualcuno che ci piace
l’occasione per rendergli pan per focaccia, con l’intenzione, inconsapevole, di
arrivare a qualcosa di diverso, forse di meglio. Forse a una vita non condizionata
dalla paura.
Nelle Storie d’Amore, ciò è
reso ineludibile dalla bellezza seducente della ragazza che ‘fulmina’ il
protagonista, o dal ragazzo dal sorriso accattivante che seduce la
protagonista, oppure, nelle Storie di Morte, dal cattivo o dal senso colpa che
minacciano la “stabilità” del quotidiano del protagonista.
In questo snodo narrativo
(ma vale per tutti gli altri), l’ambivalenza è dietro la porta. Il protagonista
si sente ‘chiamato’ a un’opportunità ma anche, dentro di sé, a un conflitto,
negato fino a quel momento da paure di precendenti esperienze. Può sembrare un
paradosso l’idea di cercare qualcosa che ti può mettere in discussione ma, come
scrive lo psicanalista Ignazio Majore, “la vita perennemente minacciata dalla
morte le corre incontro”.
Ciò che quest’incontro (o
il peso di un’assenza) offre al protagonista è rappresentato dall’opportunità
di rispolverare parti di sé atrofizzate. Incontrare l’amore che non ha mai
vissuto appieno, questo lo attrae, e lo sconcerta. Si potrebbe dire che il tipo
‘intelligente’ (controllato) intravede la possibilità di integrare la parte
‘emotiva’ incarnata da una Luisa o da una Barbara. Un bel richiamo, non c’è che
dire. E cedere alla forza delle emozioni, soprattutto per un maschietto, non è
cosa da poco. Ma deve rispondervi,
una ‘potenzialità’ con cui, a un certo punto della vita, sente di doversi
confrontare.
Per questo la persona ‘dei
suoi sogni’ lo attrae moltissimo, perché estramemente funzionale alle sue
necessità di sviluppo emotivo. Nella Chiamata
all’Avventura viene infatti rappresentata l’occasione per tentare di uscire
dalla zona di ‘infelicità senza desideri’ del Mondo Ordinario. Sollecitazione
che può giungere al protagonista anche attraverso un evento inatteso, una
email, una citazione, un sogno - come avviene attraverso immagini ossessionanti
in “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Oppure attraverso la stanchezza e la
noia di Joe Buck (Jon Voight) in “Un uomo da marciapiede”, che lascia il
paesello e un lavoro monotono per l’avventura nella grande città. Il
protagonista è pronto per tentare una nuova vita.
Nelle Storie di Morte tale
opportunità viene veicolata da un serio rischio di morte. In questo genere di
storie il protagonista ‘si aggancia’ al Cattivo di turno che lo minaccia (la vita
del protagonista, nel Mondo Ordinario, è soffocata da un qualche aspetto
mortifero). È come sentirsi pieni di rabbia e incontrare qualcuno che ci
provoca. Perfetto, magari lui non c’entra niente con la nostra rabbia, ma è
perfetto per la bisogna. Perché lasciarselo sfuggire?
Una minaccia di morte che
l’antagonista può rivolgere al protagonista oppure a una collettività che il
nostro supereroe sarà chiamato a proteggere (in genere storie di supereroi o
storie western). Goldfinger, o gli alieni, o gli zombie, o il serial killer, o
la banda di malfattori, o un senso di colpa, comunque agiscono sempre sul
protagonista sebbene i suoi scopi possano essere diversi (salvezza personale o
del gruppo).
Non sempre tuttavia le chiamate hanno una valenza, in questo
senso, positiva, cioè di riattivare parti ‘inattive’ del protagonista. Qualche
volta tendono invece a “soffocarne” gli eccessi.
È il caso delle tragedie
dove il protagonista, molto spesso, viene avvisato (un amico, una donna, un
sogno, persino una profezia) che il suo destino sarà funesto. Cioè gli viene
detto che, se si comporta in una determinata maniera, per lui sarà la fine.
(Giulio Cesare avvertito delle Idi di
marzo).
Il protagonista in questo
caso non ha scampo. Lo spettatore, o il lettore, lo sa e gli viene da gridare:
‘no, non farlo!’, nella speranza che il suo eroe si comporti diversamente. Sembra
che queste “chiamate contro il protagonista” vogliano indicarci comportamenti
che non conducono ad alcuna soluzione positiva. Un’indicazione al rovescio.
Molti film della commedia all’italiana vanno in questa direzione, tra questi
moltissimi interpretati da Alberto Sordi. Essi indicano comportamenti
discutibili che alla fine il protagonista pagherà sulla propria pelle. Queste
storie sono un monito per tutti noi.
Ma vi sono anche chiamate – Parsifal su tutti – in cui la
forza e il coraggio del protagonista (che dovrebbe invece acquisire alla fine
della storia come elisir)
rappresentano il suo limite. Nelle avventure cavalleresche o anche in molti
film d’avventura il mentore, sotto forma di amici o di gruppo, esorta il
protagonista a stare attento, a non lasciarsi prendere la mano dalle proprie
qualità. Parsifal viene ammonito, così come Teseo che non dovrebbe prendere una
strada irta di pericoli.
Nelle chiamate classiche,
il protagonista esita emotivamente a prendere la propria direzione, in queste
invece ha un ‘eccesso di direzione’. È questa la sua avventura o forse in
questo caso si potrebbe dire la sua
disavventura. Come non ricordare le mirabolanti avventure dell’immortale Don Chisciotte? Tanto intrepido e tanto
ardimentoso da considerare valorosissimi nemici i mulini a vento…
È capitato a tutti di
essere stati di colpo “risvegliati” da un incontro, da un ricordo, da
un’immagine. Ciò in sostanza ha rappresentato la nostra opportunità di capirci
qualcosa in un’esistenza sostanzialmente monotona e senza stimoli vitali. Vi
abbiamo aderito subito, ci serviva, sentivamo inevitabile quell’opportunità… E
di colpo le nostre ‘quattro mura’ si sono trasformate in un risplendente
maniero. Tutto improvvisamente ha assunto un senso, le stesse cose ripetute
stancamente per anni ci sono apparse pregne di un significato tutto da
scoprire.
Quindi la funzione
principale della Chiamata all’Avventura
non è soltanto quella di mettere in moto il racconto, ma anche di cominciare a
mettere alla prova la limitatezza del Mondo Ordinario del protagonista. Quando Jack
Taylor (George Clooney) incontra Melanie Parker (Michelle Pfeiffer) in “Un
giorno per caso” parte subito una schermaglia fitta di battute polemiche sulla
loro condizione sentimentale: “Come sarebbe che io devo essere l’ex-marito di Kristen?” “Beh, quella è la figlia di Kristen,
e questa è una tipica cosa da ex-marito.” “Tu sai di che parliamo perché questo
è un tipico commento da ex-moglie.” Di lì in poi non si lasciano più.
giovedì 29 maggio 2014
IL FATAL FLAW DI MELVIN
A proposito del fatal flaw del protagonista e di Mondo Ordinario. Chiaro e sintetico quello che Melvin esprime a proposito delle donne. Ecco qui il limite con cui durante la storia dovrà misurarsi.
lunedì 26 maggio 2014
ORDINARY WORLD: DA DOVE SI COMINCIA.
Quella rabbia che chiede
soddisfazione, anche nell’amore.
Questa frase mi sembra un ottimo spunto per
provare ad inquadrare il problema del protagonista nelle Storie d’Amore. Cosa
lo offusca al punto da fargli considerare accettabile una vita che non lo
soddisfa appieno ma che “insiste” a condurre?
Per questo motivo all’inizio d’un racconto si
parla di bassa consapevolezza del
protagonista. Egli non è del tutto consapevole di ciò che lo rende infelice,
non abbastanza perché possa considerarlo un problema.
E se alla suddetta frase togliamo anche nell’amore, abbiamo una Storia di
Morte.
Parlare del Mondo
Ordinario del protagonista è argomento arduo e complesso, e poco di addice
a un post (in questo caso ancor meno rispetto ai successivi snodi narrativi).
Ma se è vero che ogni storia è la storia del protagonista, non si può non
cominciare che col parlare di lui.
Le trasformazioni che il protagonista subirà nello
svolgimento del racconto sono la parte empatica
e rappresentano l’essenza, il significato di ciò che viene raccontato. Il
cosiddetto plot, cioè gli eventi
esterni, la trama che si dipana intorno a lui, altro non è che il vestito di un
corpo che lo scrittore dovrebbe conoscere nei suoi aspetti più profondi avendo
operato, come vero e propro chirurgo, giù fino ai tendini, alle ossa, al sistema
cellulare composto in ultimo dalle nostre cellule sessuali – le uniche
separate. La cellula sessuale è infatti costretta a dividersi in due parti
entrambe dimezzate nei cromosomi e bisognose di reintegrazione. Questo
meccanismo dimostra la necessità della materia vivente di creare perciò situazioni
intollerabili per scatenare reazioni vitali.
L’intollerabile separazione.
Ogni storia è perciò in sostanza il tentativo di tornare
a questa ‘riunione’ cellulare, che psicologicamente assume le forme dell’animus e dell’anima junghiani. È questo il viaggio,
e ciò lo si ottiene partendo dalla destrutturazione di ciò che siamo diventati nell’espressione
di questa riunione mancata, prendendo quindi coscienza di ciò che siamo e di ciò che cerchiamo veramente. È il
viaggio che il nostro protagonista sperimenta, è il nostro viaggio, che, purtroppo,
questa sede ci costringe ad affrontare con rapidi colpi di pennello nel
tentativo di rintracciare ‘suggestioni’ riconducibili a tale scopo.
All’inizio era il caos. Dobbiamo perciò cominciare
col mettere ordine al caos, separare il grano dalla crusca, nel modo indicato
da Jung in riferimento all’opera dell’artista chiamato, a suo dire, a smontare
la propria follia per conoscere com’è fatta, per poi ricostruirla tale e quale affinché
lo spettatore o il lettore vi possano riconoscere le loro.
Torniamo dunque al nostro protagonista. Abbiamo
detto che il suo problema costituisce essenzialmente il nostro racconto. Possiamo
genericamente accennare a qualche tipo di problema: non riesce ad amare, non
riesce a crescere, non riesce a realizzarsi, etc.. È bene conoscere su cosa vogliamo mettere le mani, e una volta che
lo abbiamo definito non dovremo più distogliere lo sguardo da lì perché ciò
costituirà il tema del racconto.
Quello che avremo scelto, il problema cioè del protagonista, rappresenterà il
suo fatal flaw, ovvero il suo danno
da aggiustare. Parleremo di questo danno per tutto il racconto, dal punto in
cui nasce al momento in cui si risolve, inserendo la vicenda nei luoghi e nelle
epoche che stabiliremo in base al nostro gusto personale.
Bisogna perciò innanzitutto conoscere il problema
del protagonista (sempre emotivo) e anche il modo in cui potrà risolverlo. È
vero, ci sono scrittori che si mettono lì e attaccano a scrivere fidando nella
propria vena creativa, ed è un bene, tuttavia credo che conoscere ‘dove si va a
parare’ non faccia male, nell’aiuto che può darci a focalizzare ciò che
raccontiamo prima che il protagonista scopra da solo ‘dove voleva andare a parare’.
L’inizio di una storia deve contenere la fine, o
perlomeno una sua prospettiva (almeno nelle intenzioni di chi scrive). Se per
esempio voglio raccontare la storia di un dongiovanni, è necessario che
all’inizio lo scrittore rappresenti (con un’immagine o una frase, detta pure da
altri) il limite di questo suo ‘carattere’, cioè il disagio di non vivere l’amore
sebbene circondato da donne. È un problema di fiducia il suo? In chi? In sé
stesso o negli altri? O in tutt’e due? Ha paura di cosa? Cosa vorrebbe?
Se parlo d’un avaro, dovrò forse comprendere che
esso vede nell’accumulo di denaro un sostituto dell’amore che gli manca. Ha il
terrore che qualcuno gli porti via i soldi? Preferisce ‘tenerlo tutto per sé’?
A discapito di cosa? Questo come lo fa vivere? Cosa sogna un avaro?
Queste ed altre domande servono per ‘illuminare’
l’altra faccia del protagonista, quella che per tutto il racconto terremo oscura (l’Ombra Junghiana che impatterà
nella Prova Suprema e per la quale morirà nel Punto di Morte). L’altra faccia
di cui, fino alla fine, non parleremo mai, che mostreremo al protagonista (o al
lettore o allo spettatore) soltanto nelle forme in cui lui la teme.
La sintesi delle risposte a queste domande preliminari
sul protagonita può essere rappresentata appunto da una sola immagine o in una
sola frase all’inizio del film. Anzi, più si riesce a trovare una sintesi, più
significa che si è centrato il fatal flaw.
Domande di partenza: quale problema ha il
protagonista? Come lo esprime? Di cosa ha paura? Cosa desidera in realtà? Come
lo realizzarà?
‘Problema’ che è il suo fatal flaw, sempre costitutito, in ogni film e in ogni romanzo,
dall’incapacità del protagonista di espriemere la propria parte emotiva. Cito
due esempi cinematografici a mio avviso tra i più folgoranti e illuminanti: Little Miss Sunshine in cui, in primo
piano, Richard Hoover (Greg Kinnear) parla alla platea dei dieci scalini per
raggiungere il successo, ma un attimo dopo scopriamo che la platea è
praticamente vuota. Problemi di comunicazione? Già, e cosa produce problemi di
cominicazione? La scarsa stima di sé stessi, la mancanza di autostima? E perché
si ha scarsa autostima? Forse perché non siamo stati abbastanza valutati
nell’infanzia? Cioè non ci è stato dato quel necessario apporto di affetto per
vivere senza doversi poi sentire sempre in dovere di dimostrare quanto si è
bravi ed ‘esperti’? Gira che ti rigira, sempre lì andiamo a finire: quello che
abbiamo ricevuto e quello che siamo in grado di dare.
L’altro esempio, più ‘antico’, vede Thomas Edward
Lawrence (Peter O’Toole) in Lawrence
d’Arabia. Proprio in apertura, egli dà prova di resistenza ai commilitoni
facendo bruciare un cerino sotto il palmo della mano. Non sente dolore. Già, e
perché in genere non si prova dolore? Neanche di fronte a traumi violenti? Forse
ci auto-anestetizziamo? E perché abbiamo questa ‘necessità’? Per caso nell’infanzia
abbiamo sperimentato un dolore simile e ci siamo corazzati al punto da non voler
provare più niente? E di fare persino di questo distacco una virtù? (Di Thomas
E. Lawrence scopriamo infatti che è figlio non riconosciuto di un ‘lord’
inglese, cioè di un uomo che non lo ha mai voluto, ovvero di un uomo in cui non
si è identintificato e che perciò ‘sfida’).
Un fatal flaw
verbalizzato è meno efficace. Uno molto divertente c’è in "What Women Want” dove
Lola (Marisa Tomei) alla cassa del bar gela il caracollante Nick Marshall (Mel
Gibson) con un: “Nick, che devo fare per convincerti? Io non sono il tuo tipo,
dammi retta, lo so.” Lo spettatore percepisce che Nick è uno che se la racconta
in fatto di ‘saperci fare con l’amore’, è che è l’unico a non saperlo.
Domande. Domande che servono per giungere al
“senso”, all’anima del nostro racconto, che abilmente cripteremo prima del
disvelamento finale. Di regola si dice che se si vuol parlare d’amore, non
bisogna parlare d’amore. Nel memorabile romanzo Le Relazioni Pericolose di de Laclos la parola ‘amore’ non viene
mai espressa dai protagonisti, mai nel senso che questa parola generalmente intende.
Domande. Porsi e far porre domande al
protagonista. Il lavoro dello scrittore credo consista essenzialmente nel porsi
domande, non nel dare risposte. Le domande sono molti più interessanti, e se
ben poste ‘seducono’ più delle risposte.
Nel caso delle Storie di Morte (tutte le storie di
genere) il fatal flaw del
protagonista è applicato alla sua necessità di sopravvivere ad un evento
minaccioso. Qui la lotta è della Vita sulla Morte, mentre nel caso delle Storie
d’Amore si tratta della riunione di animus
e anima junghiani, la scoperta cioè di
quel qualcosa che manca e della sua successiva integrazione.
Il fatal flaw
di ogni protagonista di Storie di Morte è se vogliamo molto più arcaico di
quello delle Storie d’Amore in quanto la sua priorità è sopravvivere ancor prima
di avere la possibilità ad amare. Il nostro protagonista, nelle Storie di
Morte, sarà abbastanza forte e coraggioso da affrontare ciò che lo affossa, rappresentato,
nella sua Ombra, dall’antagonista? Cos’è che in realtà lo invade al punto da
doversi produrre infine in una forte reazione vitale? Un evento traumatico del
passato? Oppure quest’invasione è semplicemente rappresentata da dei classici
alieni? Oppure si tratta d’un ricatto di cui è vittima?
Ma, come si evince, sempre di ‘qualcosa che manca’
parliamo. Nel trovare la forza di vincere la morte, in questo genere di storie,
in quella di riuscire ad amare nell’altra. Che pure questi due aspetti, se
vogliamo, sono espressioni di un unico aspetto. Senza amore si muore. Oppure,
si muore se non si è abbastanza forti da amarsi. Ma, per ragioni narrative, è
necessario porre anche qui una ‘separazione di genere’. Storie d’Amore e Storie
di Morte.
Come molto spesso succede dopo aver seguito corsi
di sceneggiatura o di scrittura, se ne esce con un block notes pieno di appunti
e con una bella confusione in testa. Quello che cercheremo perciò di fare, come
detto, sarà di rintracciare ‘sensazioni’ che diano vita alle fredde indicazioni
narrative.
Sapere con quali occhiali il protagonista vede il
mondo, come si veste, cosa legge, i suoi hobbies, etc., non sempre ci aiuta a
definire il problema del protagonista ma diventano efficaci se conosciamo il
perché ha fatto certe scelte formali e non altre.
Dunque qual è il fatal flaw del personagio che intendete raccontare? Lo avete
individuato? Bene, ora è questo che dovrete fare: sintonizzarvi su questo suo stato
d’animo e viverlo come fosse il vostro. Pensate a cosa è successo a voi quando,
in un certo momento della vostra vita, avete provato lo stesso disagio o la
stessa angoscia. “Infelicità senza desideri” come scrive Peter Handke. Vi siete
sentiti soli e niente pareva consolarvi? Poi cosa è successo? Ripensate a quali
sono stati gli snodi, i passaggi emotivi che vi hanno tirato fuori da quella
situazione cronicizzata, che vi hanno portato a reagire in maniera vitale
uscendo da quell’affossamento. Rabbia che
chiede soddisfazione? La prima reazione necessaria. Trovate i vostri
passaggi e innestateli al protagonista, senza imbellettarli con artifizi
artistici. Qualcuno ha detto che la forma più alta di arte è la verità.
Un uomo che non ama, una donna che non trova la
propria identità, un giovane che non vuole crescere. Ma anche un pistolero
inseguito dal proprio passato, un investigatore tormentato da un errore
commesso, un super-eroe ‘limitato’ dai propri poteri extra-umani.
Se per esempio volete scrivere di un uomo che ha
scelto la solitudine oppure di uno che ha problemi con la sua donna, sappiate
che parlate dello stesso tema
attraverso due diverse esperienze. Ambedue hanno problemi con la loro parte
femminile (l’Anima junghiana) e
attraverso percorsi diversi arriveranno alla stessa soluzione. Il primo verrà riportato all’amore pieno e totale da una
donna che si prenderà cura di lui, il secondo raggiungerà la stessa mèta ma
attraverso una donna che lo metterà con le spalle al muro. Se si tratta di una
donna che deve integrare l’Animus (la
parte maschile) avrà grandi conflitti con il mondo esterno ma troverà un uomo
che le darà quel valore che le servirà integrare (storie sull’emancipazione
femminile). Ma ci sono anche donne che hanno una forte caratterizzazione maschile
(fate, dark ladies) che devono riscoprire la loro parte femminile. Pure essendo
donne, mancano di Anima. Oppure ci
sono uomini adattati a un’Anima onnipotente
che devono riscoprire la loro parte maschile per ristabilire un vitale equilibrio
(storie di crescita).
Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Una volta che
avrete definito il fatal flaw che
volete raccontare del vostro personaggio e lo avrete inserito in un ambiente di
vita che possa esaltare le sue ‘mancanze’, avrete il suo Mondo Ordinario.
La mano ci prende quando vogliamo raccontare
qualcosa di originale. La scoperta “originale”
più grande che ciascuno di noi può fare è di essere un essere umano non molto
dissimile dai suoi simili. L’Epopea di Gilgamesh, scritta 5000 anni fa,
contiene lo stesso soggetto del film ‘Un Uomo da Marciapiede’. Due scrittori, a
distanza di 5000 anni, hanno raccontato la stessa storia in forme diverse. E in
questa soltanto si può rintracciare l’originalità di un’espressione artistica.
venerdì 23 maggio 2014
L'ELETTRIZZANTE 'AVVICINAMENTO ALLA PROVA SUPREMA'
Quello dell’Avvicinamento alla Prova Suprema è
lo snodo ‘elettrizzante’ della storia. La sensazione del protagonista è di chi
ha finalmente capito ‘cosa fare’. Uno studente raddoppia gli sforzi in vista
dell’esame, un cavaliere lustra le armi in previsione del torneo, uno sportivo
ripassa le strategie da usare in gara. Una forte sollecitazione interna, il
protagonista che richiama tutte le proprie energie in previsione del confronto con
la Prova Suprema.
In questa fase,
più che in altre, è attivo il Mentore. Il suo ruolo è anche quello di tenere a
freno lo scalpitante protagonista, di metterlo in guardia sui risvolti della ‘contesa’
di cui il protagonista comprenderà il vero senso soltanto nella Fine dello Stato
di Grazia. Come se il Mentore gli dicesse: ‘attento, le cose non sempre sono
come sembrano’. Ma il nostro protagonista è sicuro di sé, ha tutto in testa, pensa di sapere cosa
fare per ottenere il risultato che persegue.
Nelle Storie d’Amore
è il momento della ‘grande preparazione’. In questo punto spesso vi sono
sequenze in cui il protagonista cerca di organizzarsi per presentarsi al meglio
all’incontro. In ‘Qualcosa è Cambiato’ Melvin Udall (Jack Nicholson) si prepara
emozionato come un adolescente per incontrare Carol Connelly (Helen Hunt): la
desidera, la vuole, e lotta contro i propri disturbi ossessivo-compulsivi. In
altri racconti, il protagonista condivide l’emozione di questo fatidico momento
con amici o colleghi, ripensa con loro a tutto ciò che lo ha condotto fino a quel
punto, confronta prospettive o ambizioni.
Nelle Storie di
Morte lo stesso evento è rappresentato in maniera non del tutto dissimile. Nei
film western, c’è la classica chiacchierata intorno al falò la notte prima dello
scontro. Nei film storici c’è in genere un’adunata intorno al condottiero che
ribadisce intenti e volontà. Nei thriller il protagonista-detective si beve un
bicchiere con un collega tirando le somme del caso.
Caratteristico
di questa zona del racconto è anche lo ‘stratagemma’ studiato dal protagonista per
permettersi di affrontare la Prova Suprema in maniera ‘protetta’. Una “protezione”
psicologica che paradossalmente finisce per aumentare il livello del suo
conflitto interno. Il protagonista, inconsciamente, si dice: ‘per affrontare
questo evento devo fare così’. Cioè si fa forte appellandosi alle abilità
affinate nella zona di racconto precedente, dove ha testato le proprie
potenzialità e ha capito che forse ce la poteva fare. Ora per riuscire nell’intento
gli serve un ‘piano’.
Un esempio,
nelle Storie d’Amore, lo troviamo nel film ‘Il Lato Positivo’. Pat Solitano Jr.
(Bradley Cooper) confida allo psicologo di poter incontrare Tiffany Maxwell
(Jennifer Lawrence) ma per darle una lettera da recapitare alla ex-moglie che dice
essere il suo “vero” obiettivo. Un inconsapevole pretesto che gli permette di
incontrare l’anima junghiana –
Tiffany Maxwell - con un “giubbotto anti-proiettile”. Un’ultima difesa che
presto manifesterà il proprio limite.
Nelle Storie di
Morte il protagonista-detective, o lo sceriffo, o il supereroe, individuato il
cattivo, o il suo lato debole, o il suo rifugio, mettono a punto un ‘piano’ per
“blindare” lo scontro con l’antagonista. Vengono fatte ulteriori ricognizioni o
vengono raccolte maggiori informazioni per costruire una strategia, o un
tranello, oppure per predisporre al massimo i superpoteri.
È successo a
tutti di voler invitare qualcuno o qualcuna, per un caffè o magari una pizza. Un’idea
elettrizzante, e di aver usato come ‘salvagente’ un pretesto lavorativo, oppure
la visita a un’imperdibile mostra. Uno stratagemma nel caso la serata si fosse
rivelata in qualche modo “deludente”. Un ‘piano’ più o meno chiaro, per una più
o meno chiara via di fuga.
In questa zona
le paure del protagonista si fronteggiano duramente con le sue aspettative di
cambiamento. Egli, inconsciamente, non vorrebbe fare ciò che si sta apprestando
a fare, vorrebbe magari che qualcuno lo dissuadesse, avvertendo il rischio di
un effetto “contro-producente”, di qualcuno che potrebbe mettere in discussione
il suo ‘modus vivendi’. Ugualmente il desiderio di incontrare ciò che in
qualche modo gli offre una diversa, ambita prospettiva, è forte.
Dopo che il
protagonista ha precedentemente testato le proprie potenzialità e sperimentato
la realtà di un mondo a lui conosciuto solo in parte ma ritenuto ‘abbordabile’,
nell’Avvicinamento alla Prova Suprema
egli si sente forte di queste acquisizioni e sperimenta la tensione di un
conflitto che aumenta.
L’ampia zona di
racconto dell’Avvicinamento alla Prova
Suprema, caratterizzata dalla fibrillazione dovuta all’incontro col proprio
problema profondo, con la propria Ombra junghiana (per la quale il protagonista
si protegge con lo stratagemma), si chiude con una specie di esasperazione di
questa sensazione.
Se prendiamo
esempio da uno spunto già accennato, lo studente vede approssimarsi il momento
dell’esame. Un evento inevitabile per il quale la sua elettricità iniziale ha attinto alla volontà di prepararsi bene, cioè
il suo ‘piano’. Ma più il momento dell’esame s’avvicina, più la tensione sale. Più
l’evento si fa prossimo, ‘piano’ a parte, più avverte una sensazione
d’isolamento e anche di pericolo. Si sente solo
– come infatti è - di fronte alla determinante prova che presto dovrà
sostenere.
Questo perché
le abilità acquisite nella zona precedente, in cui appunto ha testato le
proprie potenzialità, ed elaborato successivamente un ‘piano’ per esaltarle,
determinano il protagonista in una direzione razionale, ‘intelligente’. Le
‘armi’ con cui infatti intende presentarsi alla Prova Suprema, riguardano aspetti ‘strategici’, cioè di difesa, che
non prevedono la sua esposizione emotiva. Troppo spaventato dalle ferite del
passato per non temere conseguenze.
Un esempio, in
questo senso, nelle Storie di Morte, è reso splendidamente in ‘Mezzogiorno di
Fuoco’ quando lo sceriffo Willy Kane (Gary Cooper), dapprima sostenuto dalla
gente del paese nello scontro con gli antagonisti - quindi forte e determinato
- si ritrova pian piano abbandonato da quella stessa gente che non vuole più affrontare
una pericolosa prospettiva. La loro pavidità dà risalto alla solennità della
prova che Kane s’appresta ad affrontare. Viene allora assalito dal panico nell’idea
di dover affrontare i ‘cattivi’ da solo. Ma non ha modo di sfuggire al proprio
destino. Grandissimo momento, narrativamente parlando.
Verso la fine
dell’elettrizzante Avvicinamento alla
Prova Suprema, è quindi efficace far provare al protagonista questa
sensazione d’isolamento (la fibrillazione iniziale si trasforma in
inquietudine). Egli è solo con ciò che è, con ciò che fino a quel punto è
riuscito a organizzare.
Nel nostro Avvicinamento alla Caverna è arrivato
il momento in cui, riusciti a convincere lei a uscire col pretesto magari di
una mostra o di un problema di lavoro da discutere, lei si presenta
all’appuntamento. L’atteggiamento d’intraprendenza persino spavalda trasforma lui
in essere indifeso, quasi buffo: è infatti arrivato per lui il momento di affrontare l’Ombra
junghiana di cui si parla in molti libri sulla struttura narrativa, di incontrare
l’evento traumatico descritto in quelli di psicologia, di misurarsi con la Strega Cattiva (o l'Orco) nella
sua minacciosa caverna in quelli di fiabe.
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