Parlare di Morte, cioè del Punto di Morte nella struttura narrativa (fine
del secondo atto) non è facile poiché, più di tutti gli altri snodi narrativi,
il p.d.m. rappresenta uno stato d’animo preciso e profondo.
Sinteticamente il Punto di Morte rappresenta il punto più lontano
dall’obiettivo iniziale del protagonista. Abbiamo iniziato con un uomo che non
sapeva esprimere i propri sentimenti, ora lo facciamo “morire” per questa sua
incapacità. Qui “sostanzialmente” finisce il film, è la Fine del Secondo atto.
Fino a qui, si dice, tutti i racconti sono uguali, cioè il protagonista ha
impattato il problema che doveva incontrare. Il finale del Terzo Atto
rappresenta il ‘messaggio’ che lo scrittore vuole lanciare dando la sua
personale visione del senso di questo ‘impatto’.
In una Storia di Morte il protagonista che voleva beccare il cattivo viene
da lui beccato (contatto fisico con la morte), oppure l’amico, il collega o una
persona a cui teneva molto muore (contatto proiettato); nelle Storie d’Amore,
il protagonista, nel p.d.m., viene invece mollato definitivamente dalla donna
di cui è innamorato (contatto psicologico con la morte).
Prendere confidenza con questo ‘snodo’ è importante. Oggi non si parla più
di morte, argomento scomodo, si dà invece molto più spazio alle diete salutiste
e ai viaggi esotici. Ma nessuna ‘meravigliosa vita’ che immaginiamo può essere
incontrata laddove non sia il prodotto di una morte. Perché la vita è un
“fenomeno” che include la morte. La morte fondamenta di una trasformazione in
qualcosa di diverso e più completo, di più vitale appunto.
Nel racconto l'approdo a una vita più appagante e soddisfacente rappresenta
lo scopo per cui si narra, quindi la ‘morte’ deve essere necessariamente
incontrata dal protagonista, proprio per donargli la nuova ‘vita’ di cui sente
bisogno e necessità.
È importante che un’esperienza del genere ci sia capitata nella vita. Trovarsi
cioè ad un bivio, e sapere che dipende da noi – e soltanto da noi – l’esito
della nostra vicenda umana. È un attimo, una decisione da prendere, o la nostra
vita resterà in quella zona grigia in cui è sempre stata. Un pugno di secondi
che possono cambiare la nostra esistenza, o farla rimanere così per sempre. Il
rischio percepito è grande, quel passo non l’abbiamo mai fatto. Abbiamo cercato
un senso in quello che fino adesso è stato il nostro comportamento, ma in
effetti non ci soddisfa più come prima. E qualcosa, di quel vecchio
comportamento, si appalesa chiaramente come vero e proprio alibi o limite. Nell’Eneide,
la Sibilla dice a un certo punto a Ulisse: “è facile la discesa nel mondo degli
inferi, ma tornare sui propri passi e fuggire verso l’alto, questo è il
compito, questa è la dura prova”.
Il p.d.m. per me è il racconto, è l’ombra che si svela, la minaccia
che domina potente e incontrastata. Quando penso a un personaggio a cui voglio
dare vita in un racconto, per prima cosa penso a dove morirà. Dove morirà il
suo infantilismo, la sua parzialità, la sua personalità solidificata come
cemento?
Come sanno tutti coloro che scrivono, ci sono punti in un racconto in cui
lo scrittore pone maggior attenzione rispetto ad altri, punti che sono la
cartina da tornasole delle cose che vuole che tornino nel modo in cui ha
deciso.
Ci sono scrittori che prima di tutto devono avere chiaro ‘come va a finire’
la storia, altri che si concentrano ‘sugli ostacoli che il protagonista
incontra’ (determinano il suo carattere, e il suo limite, nelle difficoltà),
altri non vogliono neanche sentir parlare di struttura o stregonerie del genere,
attaccano a scrivere senza porsi il problema di dove andranno a finire,
lasciandosi portare dai loro personaggi. A ciascuno il suo.
Comunque sia io credo che il protagonista prima o poi il p.d.m. lo debba
impattare. Se chi scrive sa “come muore” il protagonista, sa anche per cosa
vivrà, e soprattutto sa per quale motivo non ha vissuto pienamente fino a quel
momento.
Il Punto di Morte rappresenta l’emozione del protagonista totalmente
compressa (depressa), il momento da cui, un attimo dopo, si genera nuova vita.
Fa pensare al caos primordiale, qualcosa d’informe dal quale si eleva
improvvisa e imperiosa la vita. Morte che trasforma la Vita. Morte dunque come
presupposto di Vita. Poco dopo (in un racconto), il protagonista viene infatti
precipitato verso una risposta emotiva esplosiva che lo riscatterà da una vita
passiva e insoddisfacente (Climax).
Il Punto di Morte è importante perché segna la “conoscenza più dolorosa del
problema”. È la depressione, il disagio profondo, a volte anche la malattia, in
cui possiamo cadere per non “cedere” alle emozioni. Mi ha sempre sorpreso
quanto a volte riusciamo a fare di tutto per non ‘sbloccarci’ e costringerci ad
una condizione di sofferenza emotiva.
Questo momento mi ha sempre richiamato l’idea di una di quelle macchinette
caricate a molla che c’erano tanti anni fa: si girava la chiavetta finché non
era più possibile girare, poi la si metteva a terra, si mollava la presa e
quella schizzava via come un razzo. Ecco, il Punto di Morte è quella
macchinetta caricata al massimo ma trattenuta in mano senza mollarla. Energia
compressa, accumulata, trattenuta, pronta ad esplodere ma impossibilitata a
farlo… il Punto di Morte.
È capitato a tutti di sentirsi talmente compressi in una determinata
situazione da ‘stare per esplodere’… Poi non si è esplosi? Perché? Cosa
temevamo? A questo proposito, c’è una splendida battuta nel film ‘Segreti e
Bugie’ che spiega la natura di questo impedimento. Il protagonista, dopo tanto
tormento a mandar giù rospi, riesce finalmente a dire ciò che sente veramente,
e, una volta “esploso”, volge gli occhi al cielo. Un istante di sorpresa quindi
considera, piacevolmente stupito: ‘ma dov’è il fulmine che mi doveva colpire?’
Se conosco dove il mio protagonista ‘morirà’ saprò dove sbagliava e come
potrà andargli meglio. Il Punto di Morte è fondamentale. Finora, per tutto il
racconto, il protagonista ‘se l’è aggiustata’ con la vecchia personalità: ora
semplicemente non può più farlo.
A differenza della Fine dello Stato di Grazia (Mid Point), dove il protagonista
ha intravisto la possibilità della propria fine (il killer che ha deciso di
farlo secco, oppure l’amata che gli ha detto ‘impara ad amare o vaffanculo’),
dove cioè è stato esortato al cambiamento e lui ha intravisto che un
cambiamento da fare forse c’era, nel Punto di Morte egli fallisce in questo
tentativo (pur percepito come necessario) a causa delle sue resistenti
resistenze, residui della ‘vecchia personalità’.
Egli ha esitato un’ultima, fatale volta. Il tempo è scaduto, non c’è più
nessuna possibilità di recuperare. Rimpianti, recriminazioni, giustificazioni
non servono più. Quello a cui teneva maggiormente è irrimediabilmente perduto.
La partita è persa e non ce n’è un’altra. “Morto”, finito, sconfitto.
Il protagonista, in questo punto, si rende conto che le armi usate fino a
quel momento sono state inefficaci, e anzi adesso gli appaiono ridicole, e si
sente persino male al solo pensiero di averle adoperate. “Che idiota sono
stato!..”
Cos’hanno prodotto quelle armi, cos’ha prodotto la sua ‘vecchia
personalità?’ Niente. La fine di tutto e basta.
In più avverte l’impotenza delle nuove “armi” che ancora gli mancano, ma ci
sono, le percepisce in potenza, ce le ha in mente, ma è troppo spaventato e
insicuro per usarle. E sa pure che se non le userà “morirà”. Morte e Vita
stanno in perfetto equilibrio, nessuna, in quell'istante, riesce a prevalere
sull'altra. Non ci sono più discorsi da fare, parole da dire, considerazioni da
fare, c’è un’urgenza vitale, impellente, inevitabile: bisognerebbe agire!
Bisognerebbe.
Si tratta di un interregno, un purgatorio, un limbo angosciante e
tormentoso (che in un racconto può durare pochi minuti o tante pagine in un
romanzo). Che deprime il protagonista, che lo ‘uccide’. La morte che serve, a
cui non può sfuggire (che lo costringerà a una reazione). Quello che avrebbe
potuto fare e quello che non ha fatto. Purtroppo le possibilità sono finite e
non ce ne sono di nuove. Possibilità sognate, prospettive agognate… Tempo
scaduto. Troppo tardi. Non è stato abbastanza forte, intraprendente,
determinato. “Morirà” per questo.
(Nella realtà ci si può passare un’intera vita in questo punto. Per questo
i racconti affascinano. Perché lì siamo sicuri che a questo punto il nostro
protagonista farà la cosa giusta, qualcosa di eclatante che lo riscatterà a una
vita piena e soddisfacente).
Ci sono registi, ad esempio Spike Lee, che a volte hanno fatto terminare i
loro racconti nel Punto di Morte. Come dire: ‘il protagonista (e tu,
spettatore) hai questa chance nella vita. Devi saperla cogliere o morirai
(emotivamente). Spike Lee non ci ‘consola’ con il protagonista che alla fine ce
la fa, che “visse felice e contento”. Lancia la palla allo spettatore
dicendogli: ‘hai capito cosa ti aspetta se non ti dai una mossa?’
Dara Marks, una sceneggiatrice americana che ho conosciuto, diceva che
tutti i film sono uguali fino al Punto di Morte, cioè fino alla fine del
secondo atto. Perché fino a quel punto il ‘percorso umano’ è lo stesso.
Incontrare la Morte. Comprendere cioè i limiti del proprio agire. Morirci per
comprenderli.
La differenza, narrativamente parlando, la fa il terzo atto dove l’artista
rappresenta il suo personale punto di vista, il proprio “augurio” allo
spettatore o al lettore, (anche, come Spike Lee, omettendolo).
Il Punto di Morte ci mette a contatto con un “peso”, il dolore di
esserci, che fino a quel momento – nel disperato tentativo di eluderlo o
negarlo – ci ha reso la vita condizionata e confusa, dunque parziale. La morte
narrativa è intesa come ‘punto’ in cui il protagonista muore delle
fanciullesche illusioni, della propria parzialità, della propria mancanza, e dove comincia a considerare che la
propria vita comprende la morte, la fine di tutto ciò che era (perché un
giorno, biologicamente, avverrà sul serio), e che per comprendere questa fine
la deve attraversare (metaforicamente), accettare quel dolore, quella
prospettiva, quel limite, quella consapevolezza. Affinché la sua vita abbia
finalmente un sapore pieno e appagante che comprenda tutto.
Rinunciare a certi schemi mentali (parziali e quindi mortiferi) legati alla
nostra personalità, che fino a questo momento ci hanno guidato, è la cosa più
difficile. Cosa ci impedirebbe sennò di vivere felici, liberi da paure e
condizionamenti?
È capitato a tutti di pensare all’esistenza di una vita migliore di quella
che uno si ritrova a vivere (Fine dello Stato di Grazia), ma trovare la forza
per mettere in atto un cambiamento che vada in questa direzione è molto
difficile. Anche e soprattutto per la struttura mentale che si è formata in
noi, e che si è stabilizzata in decine e decine di anni realizzandosi persino
in espressioni che riteniamo virtuose. Abbandonare le vecchie convinzioni per
cosa?
Ecco, nel p.d.m. il protagonista non ha ancora chiaro il vantaggio del
cambiamento, eppure sente ineludibile e incalzante la necessità, l’urgenza di
sperimentarlo. Perché con ciò di cui era convinto ha fallito. Deve, o “morirà”.
È l’emersione di qualcosa che improvvisamente lo domina, ma che per la
prima volta egli percepisce come dominio vitale.
Ma quando questa “follia” agisce tutto si trasforma, la realtà da bianco e
nero diventa in technicolor, dolby surround, digitale, in 3D. È tutto quello
che vogliamo in fondo, trovare questo slancio per mostrare a viso aperto ciò
che si è, ciò a cui si aspira, che si sente, lo ‘spettacolo spettacolare’ che
ciascuno ha dentro di sé.
E allora quel “cavolo, potevo farlo”, di colpo si trasforma in ‘basta, ora
lo faccio!”