Uno tra i migliori CLIMAX nelle Storie d'Amore. Lo sceneggiatore Mark Andrus, autore anche del soggetto, ha fatto vincere ad entrambi i protagonisti un Oscar. Mark Andrus nell'occasione si è preso la nomination per la sceneggiatura. Insomma, meglio di niente...
venerdì 27 giugno 2014
PASSIONE NEL CLIMAX: MELVIN E CAROL
Uno tra i migliori CLIMAX nelle Storie d'Amore. Lo sceneggiatore Mark Andrus, autore anche del soggetto, ha fatto vincere ad entrambi i protagonisti un Oscar. Mark Andrus nell'occasione si è preso la nomination per la sceneggiatura. Insomma, meglio di niente...
sabato 21 giugno 2014
GLI AMICI, NEMICI DI DOROTHY NEL MONDO STRAORDINARIO...
Il primo amico che incontra Dorothy - nella zona Amici, Nemici del racconto - è lo Spaventapasseri, dopo che la Strega Cattiva dell'Est le ha detto che se vuole tornare a casa dagli zii deve prima conoscere il Mago di Oz. Quindi Dorothy incontra l'Uomo di Latta e il Leone Codardo (tre personaggi-funzione che Dorothy dovrà scoprire di sé: cervello, cuore, coraggio). E tra i nemici incontra i mostruosi Kalidah.
Frank Baum è l'autore di questo celebre romanzo per ragazzi da cui sono stati tratti alcuni film e serie tv. La versione cinematografica del 1929 di Victor Fleming con Judy Garland è senz'altro la più celebre.
giovedì 19 giugno 2014
UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE: BUON COMPLEANNO
In questi trecentosessantacinque giorni ci siamo scambiati idee e considerazioni sulla costruzione delle storie e sulla scrittura, e spero che i vostri commenti saranno sempre più frequenti.
Come a me, spero che anche a voi questo anno abbia dato molto. Ma il momento dei bilanci è anche quello dei buoni propositi, e i primi che mi vengono in mente sono quelli di facilitare sempre di più lo scambio di opinioni commentando insieme film e libri, creare una bibliografia dei 'must' che ogni scrittore dovrebbe aver letto, organizzare workshop e seminari in cui potersi incontrare di persona.
Ovviamente aspetto anche da voi consigli e suggerimenti.
Grazie di seguire con tanta attenzione i post di questo blog... Buon compleanno Film School!
mercoledì 18 giugno 2014
AMICI, NEMICI: IL VENTRE DELLA BALENA
Come abbiamo visto nei precedenti post, il nostro eroe conduce
un’esistenza routinaria (Mondo Ordinario),
poi riceve uno stimolo vitale (Chiamata
all’Avventura), che lo spaventa (Rifiuto
della Chiamata), ma che gli lascia intravedere il peggio senza un profondo cambiamento
(Prospettiva di Morte).
Adesso entriamo nel secondo atto, nella zona Amici, Nemici. (Tutto il secondo atto viene definito mondo straordinario, cioè un mondo nuovo
in cui il protagonista viene precipitato dagli eventi). Pensare al ‘Mondo
Straordinario’ mi ha sempre ispirato un certo entusiasmo. Quella che infatti il
protagonista vive in questa zona di racconto è la stessa emozione che può provare
un bimbo che entra per la prima volta a Eurodisney. Magia e incanto, ma anche
timore e soggezione. Sensazioni altalenanti, confuse, inebrianti.
Nei manuali di scrittura, a questo punto, si parla del ‘ventre della
balena’, un luogo straordinario, buio e minaccioso, dove il protagonista si
ritrova ad entrare. È il grembo materno, il ritorno a una condizione
“primitiva”, ad un ‘contatto arcaico’. Siamo ancora in una fase di approccio,
detta di Amici, Nemici, ovvero ciò
che il protagonista percepisce come amico
o nemico rispetto a questa nuova condizione. Il bimbo è entrato a
Eurodisney, si guarda attorno, chiede, s’informa, cerca di capire, guarda facce,
scruta sguardi, prima di decidersi a salire sul gioco che desidera. Le reazioni
della gente lo incuriosiscono, lo sorprendono, lo ammoniscono, lo incoraggiano,
e lui ci si deve confrontare… È Alice piombata nello straordinario Mondo delle
Meraviglie. Cappuccetto Rosso che s’inoltra nel bosco.
Chi è stato in un villaggio vacanze sa di cosa si tratta. Un po’ spaesati
all’arrivo, fermi alla reception, in attesa che sia assegnata la camera, bagagli
in mano e un abbigliamento non consono al luogo, mentre altri turisti che sembrano
lì da una vita caracollano abbronzati, ti guardano con una sufficienza che non
corrisponde del tutto al tuo entusiasmo e in parte suscita diffidenza.
Ovviamente quando ciascuno di noi “s’inoltra” in qualcosa di sconosciuto,
la sensazione che ne riceve è di batticuore, entusiasmo e terrore. La ‘balena’
è un luogo dentro al quale il protagonista entra, e dal quale dovrà uscire. Una
volta che sarà riuscito a venirne fuori (molto più avanti nel racconto), avrà
raggiunto la nuova vita. Ma andiamo
per gradi, egli è appena entrato nel mondo straordinario, un mondo nuovo col
quale deve confrontarsi.
Nelle Storie d’Amore, questa zona viene spesso rappresentata in maniera
divertente. Ci sono sequenze, a volte veri e propri a sketch messi in rapida
successione, in cui il protagonista ridipinge casa, si rifà il look, oppure si
allena fisicamente, o fa acquisti compulsivi, mentre sorride a tutti e si adombra
per un nonnulla. Ora ‘è allo scoperto’, ovvero è ‘dentro il suo problema’.
In “What Women Want” Nick Marshall (Mel Gibson), dopo la Prospettiva di Morte culminata con la
scarica elettrica che lo ha “sensibilizzato”, esce di casa e si reca al lavoro improvvisamente
capace di ‘sentire’ i commenti che le donne fanno sul suo conto. E non sempre
sono commenti piacevoli. Dopo una prima sorpresa, diventa per lui un’ossessione
‘sentire cosa pensano lo donne’. Un’ossessione che lo spiazza, lo infastidisce,
lo travolge, lo incuriosisce. È bello ‘sentire’, ma ‘sente’ anche ciò che non vorrebbe
sentire sulla sua visione maschilista, sui suoi pregiudizi sulle donne, sulla
sua convinzione di essere ‘il meglio sulla piazza’. Sente tutto, bello e
brutto. “Ma cosa sta succedendo?”
Nell’altalenare delle emozioni, in Amici,
Nemici – apertura di secondo atto - il
protagonista si apre a sentire ciò che aveva dimenticato dentro di sé, o tenuto
a bada per paura. Il vaso di Pandora si è rotto, ne esce tutto ciò che è umano,
che rallegra e spaventa. Le rigide difese si abbassano un po’, e ciò che aveva
arginato ora lo invade come una piena. Quindi la necessità di tenere un po’ su la
guardia, di starci e non starci, di misurarsi soprattutto.
Ciò da cui il protagonista deve ancora difendersi, è una parte di sé
sofferente che stenta a venire alla luce. Si potrebbe dire che il protagonista in
questa zona di racconto si difende da sé stesso e cerca di contrattaccare, in
un’apertura che percepisce minacciosa e ugualmente foriera di novità. È la
paura (inconscia) a tornare al proprio fatal
flaw, a quel dolore sotterrato che ora, faticosamente, e suo malgrado, sta
cercando di tornare in superficie. È evidente che questo ‘spostamento’ migliorerà
la qualità della sua vita, ed è altrettanto evidente che gli procuri forti
disagi.
Nelle Storie di Morte, la percezione del protagonista dell’affioramento del
proprio problema, è ancora più forte. Trattandosi di storie di genere, il plot, la concatenazione cioè degli
eventi esterni, è infatti molto più incidente. Storie definite plot-oriented. In questo genere di
racconti, viene concesso meno all’aspetto ‘sentimentale’ (interno al
protagonista, raccontato in un sub-plot),
mentre viene privilegiato il suo confronto con l’esterno, la cui minaccia è
esplicita, fisica, pressante. (Serial killer, gangster, zombies, banditi, etc.,
e non una desiderabile fanciulla o un bell’uomo che chiedano al protagonista
quanto sappia dell’amore).
“Will Hunting” si può considerare una Storia di Morte, anche se definirla
così toglie poesia al bellissimo racconto, trattandosi di un ‘ritorno alla
vita’ che il protagonista deve affrontare. Will Hunting (Matt Demon) è un genio
e non sa di esserlo. Per tutto il film agiscono su di lui persone che, in varie
modalità, cercano di fargli prendere contatto con questa ‘genialità’. (In
realtà vi è anche una storia d’amore, ma di sub-plot). E tutto ciò che Will
Hunting fa per tutto il film è resistere a queste azioni di miglioramento su
di lui. Non sembra un assurdo? Qualcuno vuol farti capire che dentro hai
qualcosa di speciale e tu gli resisti? È l’”assurdo” di qualsiasi racconto, una
volta focalizzata l’idea che nel secondo atto si debba parlare delle
‘resistenze’, cioè di come e quanto il protagonista resiste alla propria
realizzazione affettiva e professionale. Will è un tipaccio della periferia
cresciuto a birre e sganassoni. Sfida chiunque, e chiunque gli pare che lo
sfidi. È il suo “carattere”, ciò che lui crede di essere, e ciò che gli
altri gli riconoscono. Ecco che allora appare chiaro quanto debba essere parziale, monocorde il “carattere” del protagonista – che abbiamo settato nel Mondo Ordinario - una definizione di sé stesso che imparerà,
attraverso il viaggio intrapreso, a riconoscere come limitata e limitante.
Anche noi ci riconosciamo spesso in un carattere: taciturno, allegro, riflessivo,
estroverso, paziente, etc.. Ci è necessario per distinguerci in situazioni che
non riusciamo a comprendere e che ci confondono. Allora ‘ci rifugiamo’ in ciò
che pensiamo di noi stessi, che è la nostra maniera (parziale) di sopravvivere.
Ci diciamo: a me capita questo perché sono fatto/a così. È il nostro
“carattere”, siamo noi, nel bene o nel male. In realtà è soltanto una parte di
noi che si esprime, quella che per una vita abbiamo usato per difenderci e che
col tempo ‘si è impadronita’ di noi. È come avere una tavolozza di colori e usare
solo il giallo perché ‘noi pensiamo di essere’ il giallo. Tutti gli altri
colori ci appaiono estranei se non ostili. Ci appartengono invece anche gli
altri colori, soltanto che dobbiamo ancora scoprirlo, e ciò avverrà nel momento
in cui l’unico colore-carattere in cui ci siamo identificati fino a quel
momento non servirà più a dipingere il quadro che abbiamo scoperto di volere.
Nel Mago di Oz, in questo punto, Alice incontra gli amici che le faranno
compagnia per tutto il viaggio. Ciascuno di essi incarna un suo aspetto con cui
dovrà entrare in contatto. Questa in genere è la funzione dei personaggi che
ruotano attorno al protagonista: ricordargli ciò che non è e che deve
integrare. Perciò non bisogna scordare che i personaggi che vivono intorno al
protagonista sono sempre una sua funzione. Qualunque personaggio gli mettiamo
accanto deve incarnare un aspetto che lui ancora non conosce di sé.
Nelle Storie d’Amore questa funzione è incarnata dalla donna (o dall’uomo)
col quale il protagonista deve confrontarsi. Gli altri personaggi sono mentori che lo sostengono, lo spronano o lo frenano come un vecchio marinaio che
insegni a un principiante a pilotare una barca. Il mentore non può guidare per
lui, e non può evitare che vada a sbattere.
In questa zona di racconto è bene avere chiara l’identità dell’antagonista
(incarnazione del problema del protagonista) e chi lo aiuterà a risolverlo
(mentori). Amici, Nemici è
soprattutto la zona dei mentori. L’antagonista in questa fase è poco presente,
incide solo come stimolo per mantenere nel conflitto il protagonista. I mentori
sono le ‘armi’, i colori non usati, con cui il protagonista comincia a prendere
confidenza in vista del confronto della Prova
Suprema.
Nelle Storie di Morte, come al solito, gli aspetti ‘drammatici’ del
racconto sono ancor più evidenziati. In “I sette Samurai” i nostri eroi
(ricordiamoci che se ci sono più protagonisti in una storia, tutti devono
perseguire lo stesso fine – sebbene con atteggiamenti diversi – come si
trattasse di un unico protagonista), rinsaldano l’amicizia con la gente del
villaggio minacciato, e cominciano a considerare ‘come’ combattere i cattivi.
Valutano, ipotizzano, al fine di individuare un piano efficace di difesa. In “Fandango”
il gruppo di amici è diretto al dissotterramento di Dom, la bottiglia di Dom
Pérignon interrata tanti anni prima, e cominciano un viaggio vero e proprio, in
auto, confrontandosi, scambiandosi opinioni e idee, cercando di ‘fare gruppo’
in prospettiva di un comune obiettivo.
Tornando al concetto di ventre della balena, come ritorno a un contatto
materno, si potrebbe dire che il protagonista in questa zona ‘si rifà bambino’.
Viene ingurgitato dagli eventi, da un ‘ventre’, e in essi, per la prima volta,
cerca di trovare una relazione. È tutto nuovo per lui, nella misura in cui non
operano più esclusivamente le sue solite difese.
In “Pretty Woman” Edward Lewis (Richard Gere) e Vivian Ward (Julia Roberts)
hanno stretto un “accordo” per frequentarsi. Qui c’è la famosa scena dello
shopping di Vivian, il maggiordomo che le insegna come si sta a tavola, e Edward
che si gode quei momenti… come fossero due fidanzatini. Ma perché, non lo sono?
Si comportano come tali, in perfetto accordo, ridono, si prendono in giro,
stanno bene insieme. Perché la storia non finisce qui? Già, perché? Con cosa si
devono ancora confrontare? Con il loro fatal
flaw, naturalmente. Problemi che in realtà sembrerebbero non riguardare la
coppia (che pare intendersi a meraviglia) ma che alla fine la determina, in
quel “carattere” parziale che li costituisce. Sembra che vada tutto bene, ma
ancora non si sono confrontati con il loro fatal flaw. Julia non ha mai vissuto
un amore non mercificato, non lo conosce, lo sta scoprendo adesso; Richard non
lo ha conosciuto lo stesso, negato attraverso le sfide professionali che lo
hanno reso ricco e solo. Questo limite personale verrà fuori quando i due si
ritroveranno a voler uscire dal “contratto” precedentemente stipulato. Allora si
ritrovano soli, protagonisti di un sogno a cui avevano dato un limite, un nome,
un prezzo.
La crescita individuale rispetto alla crescita della coppia è il “problema”
delle storie d’amore (a meno che il problema sia esterno, cioè sociale o
culturale, come in “Indovina chi viene a cena” o nel più classico “Romeo e
Giulietta” dove gli amanti si amano ma qualcuno vuole impedire il loro amore).
Altrimenti, senza una crescita individuale, qualsiasi relazione di coppia
finisce per sostanziarsi nella felicità (o infelicità) dell’altro. Perciò
spesso basta un banale contrattempo per dare vita a recriminazioni e ad accuse
reciproche di sabotaggio. Quindi il ‘problema’ nelle storie d’amore non sta
tanto nel riuscire a raccontare la felicità dei protagonisti, ma a farli
‘collassare’ nella scarsa fiducia che hanno di sé stessi, nella propria
personale capacità di amare… prima di farli tornare ad essere la coppia che
sognavano.
Questo processo di conoscenza di sé stessi e dei propri limiti, si avvia
proprio nella zona Amici, Nemici, il
cui senso potrebbe essere ‘conosciamoci meglio’. È qui che il lettore o lo
spettatore imparano a conoscere meglio i loro eroi, a conoscere qualcosa in più
di loro, dei loro limiti e delle armi che possiedono per raggiungere il loro
scopo.
martedì 10 giugno 2014
LA POSTA IN PALIO: UNA 'PROSPETTIVA DI MORTE'
Nella routine quotidiana (Mondo
Ordinario) qualcosa ha risvegliato il protagonista (Chiamata all’Avventura) inquietandolo (Rifiuto dell’Avventura). Le due forze – chiamata e rifiuto – ora stallano.
Un “perfetto” equilibrio nell’animo del protagonista. Tante ragioni per andare
avanti, altrettante per non farlo. A questo punto serve qualcosa per spingere oltre
il racconto. Una… Prospettiva di Morte.
(O fai qualcosa o finirai morto!)
Molti manuali e corsi di scrittura a questo punto parlano dell’entrata in
scena dell’Araldo, cioè di un personaggio che spinge il protagonista a entrare nel
secondo atto. È così infatti, ed è importante conoscere il significato che
porta in sé l’Araldo, ovvero il Mentore.
La parola mentore in greco antico
significa mente, ma anche forza o
coraggio. Ed è sostanzialmente questo che arriva al protagonista, un
‘suggerimento dalla mente’ ad andare avanti con forza e coraggio, qualcosa che modificherà
il suo grado di coscienza migliorandolo nello spingersi a misurarsi con sé
stesso. (È curioso che dietro alla figura maschile di Mentore nell’Odissea,
colui che aiuta Telemaco e protegge Ulisse, si nasconda in realtà una dea,
Atena).
È bene sapere che la questione che il protagonista si pone a questo punto del
racconto è: ho ricevuto un forte stimolo emotivo, ma lo respingo per evitare che mi travolga.
Però se lo respingo la mia vita continuerà ad essere grigia e monotona come prima,
una prospettiva davvero insoddisfacente…
L’”Araldo” - figura arcaica di favole
e di vicende cavalleresche, applicata anche a supereroi moderni - è
l’incarnazione di questa insoddisfazione che indica la pressione interna del
protagonista dovuta ad un irrisolto che lo spinge verso un ‘essere costretto’ a
trovare una risposta. La Prospettiva di
Morte è perciò una pressione interna del protagonista che gli dà il senso d’un’impotenza
da cui sente di doversi riscattare.
Nelle Storie di Morte, un perfetto esempio di Prospettiva di Morte è contenuto
in “Rocky”. Rocky Balboa (Sylvester Stallone) viene invitato da Apollo Creed (Elio Zamuto), campione dei pesi massimi, a una
sfida sul ring (Chiamata). Ma Rocky
alza le spalle, è fuori dalla scena da troppo per rimettersi in gioco (Rifiuto). Rocky rimugina sulla propria
triste condizione di vita, visualizzata in una sequenza di immagini tristi e sconsolate.
Infine trova a casa il suo pesciolino rosso morto. ‘Vede’ perciò la prospettiva
di una vita, una condizione mortifera che gli si prospetta, come sarà se non si
decide a fare qualcosa.
Nelle Storie d’Amore, in questo punto, viene spesso riproposta al
protagonista la situazione del Mondo Ordinario,
quotidianità che, dopo lo stimolo
della chiamata, e la retromarcia del rifiuto, vede ora tuttavia in una luce diversa,
limitante.
In “Notting Hill” William Thacker (Hugh Grant), dopo aver conosciuto Anna
Scott (Julia Robets) e averla “rifiutata” a causa della propria inadeguatezza,
per una sequenza di scene vaga con la mente pensando a lei. Un “maceramento”
che dà la sensazione di ciò che prova. Cioè una mancanza. Alla fine di questa
sequenza l’amico-mentore-araldo gli rivela che gli è arrivata una telefonata e che
si era scordato di parlargliene. È la telefonata che lo metterà in contatto con
Anna Scott.
In “What Women Want” il pubblicitario Nick Marshall (Mel Gibson) torna a
casa con la scatola di ‘robe da donne’ che deve valutare al fine di promuovere
un prodotto femminile. Guarda la tivù, si ubriaca, sente musica, infine usa su
di sé quella ‘roba da donne’, collant, mascara, ceretta, etc., per provare ‘cosa
sentono le donne’. Questa lunga sequenza corrisponde alla sequenza in cui William
Thacker in “Notting Hill” vaga sognando Anna Scott.
Nel caso di “What Women Want” non
c’è l’amico che gli dà le coordinate per telefonare ad Anna Scott, ma Nick che
cade dentro la vasca col fon in mano e riceve una scarica elettrica che non lo
farà più essere come prima (cioè un uomo insensibile).
La telefonata ad Anna Scott e Nick che cade nella vasca col fon sono la
stessa cosa, hanno lo stesso valore narrativo, indicare cioè in questa zona una
sensazione di frustrazione e d’impotenza. Al termine di questa zona di racconto
indicata come Prospettiva di Morte, si
giunge a un evento o ad una persona che ne segna il limite, che costringe il
protagonista ad andare avanti. Da questo momento in poi siamo nel secondo atto.
La Prospettiva di Morte ha un
valore molto importante nel racconto. Arriva come questione posta al
protagonista dopo lo stallo ‘chiamata-rifiuto’.
Adesso cosa vuoi fare?, sembra dirgli il destino.
La prospettiva rappresenta in
nuce ciò che avverrà in maniera più netta e decisiva nel Punto di Morte. Questa prospettiva là si realizzerà come questione
definitiva: ora o mai più. C’è una sussidiarietà tra questi due elementi
narrativi: il primo annuncia e sostanzia il secondo.
Sapere perciò di cosa deve morire il protagonista nella prospettiva, rende chiaro e netto di
cosa morirà nel Punto di Morte. Nel
secondo atto, in cui stiamo entrando, il protagonista dispiegherà tutte le
proprie difese al fine di resistere alla soluzione del suo stesso problema,
paradossalmente cercando di non morire, e trovando così la morte. Nel Punto di Morte quindi moriranno tutte le
sue resistenze e lui sarà solo di fronte a una scelta improcrastinabile: morire
definitivamente o vivere.
La Prospettiva indica la posta in
palio del protagonista. ‘Ora sai cosa rischi se ti fermi: una vita che adesso,
dopo lo stimolo vitale, non percepisci più come soddisfacente.’ Nelle Storie di
Morte questa acquisizione è sostanziata dalla necessità del protagonista di
sopravvivere a una minaccia, mentre nelle Storie d’Amore dalla necessità di
integrare la sua parte mancante (animus
o anima).
Prima che un simbolo, o una persona, o un’immagine lo spingano ad andare
oltre, la sensazione del protagonista in questo punto è la stessa di chi si
trova davanti a una vetrina e vede una cosa che gli piace, ma non è ancora
sicuro di comprarla. Oppure di chi ha deciso di fare una vacanza ma non sa
quale località scegliere. Un’incertezza che non porta a prendere alcuna
decisione.
Pensare all’idea di una morte – in questo caso in prospettiva - è senz’altro un’impresa complessa. Epicuro, sulla
morte, diceva: “quando siamo noi, non c’è morte. Quando c’è la morte, non siamo
più noi. Nulla dunque essa è per i vivi e per i morti, perché in quelli non
c’è, e questi non sono più.” La morte che s’intende in un racconto è
semplicemente l’incontro del protagonista con un livello più profondo di sé
dove, si potrebbe dire, si annida il problema che gli rende insoddisfacente la
vita. Che ne abbia la percezione, la prospettiva di doverlo incontrare,
naturalmente lo spaventa e lo spinge a un ritiro.
In realtà il protagonista nella prospettiva,
e neanche nel Punto di Morte muore. Ma
comincia a morire, e poi muore, una parte di sé improduttiva per la sua vita (fatal flow) , e in essa “risorge” senza
più la neccessità di una difesa, percependo infine il suo stesso problema altro da sé. Insomma, nel tentativo di
difendersi, il protagonista sbatte il grugno contro i propri limiti e impara a
riconoscerli.
In generale, la capacità di riuscire a dare risposte vitali a circostanze
che ci affossano, il diritto a meritare e rivendicare qualcosa di meglio per sé
stessi, nella consapevolezza che ciò che ci arriva ci deve accrescere come
parte essenziale di qualsiasi relazione, dovrebbe rappresentare il viaggio del
protagonista e il senso della storia che scriviamo.
A volte ci chiediamo – sentendo racconti di persone o vedendo servizi in
tivù – come faccia quella data persona a sopravvivere in un contesto del
genere. L’ingiustizia che percepiamo, che riflette una parte di noi, è in
genere dovuta a condizioni di subalternità psicologica, culturale o sociale. Ma
spesso vi è una condizione ancor più lesiva, rappresentata dall’autoconvincersi
di non aver diritto ad altro di meglio. Per educazione, per rispetto, per “buon
senso”. Ciò sostanzialmente ci rende i primi nemici di noi stessi. Non abbiamo
più bisogno di un ‘cattivo’ che ci schiacci, lo rappresentano noi stessi
restando subalterni al nostro dolore, al nostro ‘carattere’, alle nostre
abitudini.
Nel video “One” degli U2 ci sono bisonti che corrono in una prateria e alla
fine, senza un preciso motivo, cadono giù da un dirupo, uno dietro l’altro. Una
corsa che non ha un senso apparente, assomiglia anzi a una follia. Un video che
fa riflettere. Il suggerimento è che il destino di quei bisonti sia soltanto di
correre e poi scomparire giù per un dirupo.
La Prospettiva di Morte è
affascinante perché per la prima volta fa impattare al protagonista una
consapevolezza, l’idea di una parte di sé atrofizzata e che può condurlo
all’annichilimento. Per la prima volta ha l’idea che qualcosa possa andare
diversamente, magari pure meglio. Cioè la sua vita non può essere sacrificata
sull’altare di una società (istituzioni o gruppi o ideali) che gli chiede di combattere
per una causa che non lo rappresenta. Come i bisonti che corrono incontro al
dirupo…
sabato 7 giugno 2014
IL "RIFIUTO" DI NICK
Nick Marshal sa benissimo 'cosa vogliono le donne'. Nel Rifiuto all'Avventura una soluzione che la dice lunga su cosa gli basti per capire.
martedì 3 giugno 2014
RESISTENZA. IL RIFIUTO DELL'AVVENTURA
Se la Chiamata all’Avventura per il protagonista rappresenta
l’”opportunità”, il Rifiuto
dell’Avventura rappresenta la sua resistenza a tale opportunità. Due ‘poli’
– chiamata e rifiuto - rappresentati molto spesso in rapida successione, per
dare un’immediata proiezione dello svolgimento narrativo, coordinate di un
imminente conflitto.
Si dice che per rappresentare il rifiuto
sia sufficiente - rispetto all’opportunità ‘agganciata’ dal protagonista - uno
sguardo di disapprovazione, una perplessità espressa con una battuta, una
semplice alzata di spalle in opposizione a quanto è stato prospettato. In
effetti basta poco. Di fronte a una domanda – sai amare o sai reagire in
maniera vitale - di cui il protagonista non comprende appieno il senso, girare
sui tacchi e andarsene appare una risposta plausibile.
Tuttavia vale la pena spendere due parole sul significato emotivo del rifiuto.
Nelle Storie d’Amore,
uscito dall’infelicità senza desideri del Mondo
Ordinario, il protagonista ha impattato uno stimolo emotivo forte (una
donna o un uomo) che lo ha scosso dal torpore della routine quotidiana.
Naturalmente bastasse incontrare ciò che manca per aquisirlo, il racconto
terminerebbe qui. Scoprire di aver fame e incontrare un piatto di fettuccine. Basta mangiarle.
Ma in quella chiamata il protagonista ha anche
sentito di avere molto da mettere in gioco, da “perdere”, e ha ritenuto
necessaria (inconsciamente) una difesa per capire come uscirne in maniera
indolore. Fisiologico, sotto un certo punto di vista. Però anche un limite,
perché così facendo egli si sottrae a qualcosa che sente appartenergli profondamente.
Tuttavia la paura di “rimetterci” è ugualmente forte, quindi un ritiro
all’interno delle proprie ‘mura’ lo percepisce come necessario. (‘Resistenze’
di cui nel rifiuto si ha un primo
assaggio).
Un esempio d’immediatezza
di chiamata e rifiuto è contenuta in “Hitch” dove Hitch “dottor Rimorchio” (Will
Smith), seduce la bella e un po’ cinica Sara Melas (Eva Mendes) mollandola lì al bar come un trofeo vinto. Un rifiuto più ‘spalmato’ c’è invece in
“Notting Hill”, dove William Thacker (Hugh Grant) resta fulminato dalla famosa Anna
Scott (Julia Roberts) nella libreria dove lavora, per poi trovare il 'rifiuto' nella propria inadeguatezza poco dopo quando la conduce a casa per smacchiarsi il vestito.
Quali sono gli aspetti che
determinano l’opposizione del protagonista? Un’insufficienza emotiva che si
porta dietro da molto tempo. Un’esistenza trascorsa fino a quel momento senza
vere affettività, per precedenti esperienze negative. La sua ‘personalità’ si è
perciò strutturata su questa mancanza e ora lo costituisce, e definisce il
“carattere” con cui si rappresenta al mondo. Abitudini, modi di pensare, di
comportarsi, di relazionarsi. Un “mondo” che si è strutturato, che resiste a
un'offerta di felicità.
Parte di questa felicità
appartiene già al protagonista, sennò non la riconoscerebbe nella donna (o
uomo) che incontra. Ma è atrofizzata, un bolide impolverato e arrugginito
tenuto in garage che quell’incontro chiede di rimettere in moto. Un bolide in
stato d’abbandono da una vita, che il protagonista non ha sentito di dover
riaccendere ritenendo – per educazione, per paura - non fosse necessario. Ora
ci si è “abituato” a non usarlo, ci ha persino costruito sopra filosofie sul
perché non lo usa, che in fondo se ne può fare anche a meno, e poi comunque è
un po’ la vita che fanno tutti, no? Quindi che qualcuno ora lo solleciti a
riaccendere il bolide gli pare pure una provocazione, un’interferenza che
sembra imporgli di rivoluzionare tutto.
Amore e Psiche, Eros e
Thanatos, si sono incontrati. Fuoco alle polveri…
Nelle Storie di Morte la
vita del protagonista, affossata da una condizione mortifera nel Mondo
Ordinario, viene sollecitata alla Vita dalla
chiamata, ed egli vi resiste in egual
modo. Ma qui il rifiuto è più forte e netto. Il protagonista infatti si ritrova ad
avere a che fare con terribili sensi di colpa o con la necessità di salvarsi,
anche fisicamente, da chi lo vuole affossare definitivamente o uccidere.
L’opposizione è proporzionale.
Nelle Storie di Morte non
si tratta soltanto di un aspetto del protagonista che chiede di essere meglio
articolato e integrato (animus o anima), ma di una pressione mortifera
che sostanzialmente lo mette con le spalle al muro. Inseguito, braccato,
angosciato…
Per questo motivo, in
questo genere di storie, il rifiuto
viene molto più raccontato della chiamata,
per dare la forte sensazione di ciò che rischia il protagonista, a differenza
delle Storie d’Amore dove succede il contrario, con una chiamata molto romantica. Invece qui paura o angoscia sono
incidenti, e senza alcun aspetto sensuale o romantico.
In “Dont’s Say a World” lo
psicologo Nathan Conrad (Michael Douglas) viene cooptato da un collega per
visitare una ragazzina disturbata che conserva un prezioso segreto (che, nella chiamata, rappresenta la reazione vitale
mancata di Nathan). Nathan però si mostra scettico, lo considera un caso
‘troppo impegnativo’. Cioè: troppo dura riattivare risposte vitali abbandonate.
In “All’inseguimento della
Pietra Verde”, Joan Wilder (Kathleen Turner) viene chiamata in Colombia dalla sorella in pericolo. Joan, una
scrittrice abituata alla sedentarietà e alla riflessione, è chiamata cioè ad entrare ‘dentro la
vita’. La prima cosa che Joan infatti fa è andare nel panico, anche perché le
sua casa è stata misteriosamente devastata (devastazione del suo Mondo
Ordinario). Un’urgenza che contrasta fortemente con la paura d’avventurarsi in
un luogo sconosciuto e minaccioso. Joan ha fatto tanto per ‘starne fuori’, ha
trovato “tranquillità” nella scrittura, uno spazio “vitale” che tra l’altro le
procura denaro e celebrità. E non vuole perderlo.
Qualcuno dice che il
principale apporto dato da Freud all’umanità sia stato di mettere l’uomo
davanti a uno specchio dandogli la possibilità di cogliere un’immagine di sé
stesso, in una prospettiva diversa da quella che mentalmente si
rappresentava ‘senza vedersi’. Il rifiuto rappresenta questo momento: il
protagonista si guarda allo specchio e in quello stesso preciso istante
intravede altro di sé che lo disorienta.
Così come nella chiamata, anche qui esistono rifiuti al contrario. Abbiamo detto di
Parsifal che, a fronte di raccomandazioni che lo esortano a temere l’avventura
che si sta apprestando a intraprendere, si fa forte delle proprie virtù ignorando
ciò che gli hanno indicato come estremamente minaccioso: la potenza del Male.
Rifiuti al contrario sono tipici anche di molti film catastrofici, in cui il protagonista viene
esortato a non condurre la missione considerata da tutti suicida. Ma lui sa che
la missione è importante per l’umanità, e getta il cuore oltre l’ostacolo!
Ve ne sono pure nei film
polizieschi in cui il protagonista viene sconsigliato ad indagare dal potente
di turno e dal superiore corrotto, come in “Beverly Hills Cop.” In “Una
notte da leoni” il risveglio dalla notte brava dei protagonisti è
drammatico, non sanno cosa è successo "nella notte che non dimenticheremo mai": l’aspetto spaventoso con cui dovranno
confrontarsi.
Sostanzialmente, il Rifiuto all’Avventura serve per lasciare
il protagonista sulla soglia della sua paura, che si tratti di un amore o di
una minaccia di morte, affinché il lettore o lo spettatore assaporino il
rischio a cui va incontro. Individuare bene il rifiuto significa circostanziare al lettore o allo spettatore la
natura della paura della protagonista. Sarà l’argomento principale della narrazione, l'Ombra junghiana del protagonista, ovvero le sue resistenze per esperienze negative del passato che riaffioreranno prepotentemente, l’aspetto con cui egli alla fine dovrà fare i conti per accedere ad
un altro livello, quello di una vita senza paura. Focalizzarlo è fondamentale.
Entusiasmo e paura infatti, da questo momento, entreranno in collisione.
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