Continuiamo a parlare di mancanza. (Per chi lo avesse perso qui il primo post sull'argomento)
“Amore
è amore di quello di cui si avverte la mancanza” dice quindi Socrate ispirato
da Diotima nel Simposio.
Cioè:
dov’è finita la nostra dolce metà?
Quanto
peniamo a cercarla…
Ricerca
che nei secoli ha cambiato di pochissimo il tiro.
Nell’amor
cortese medievale, per esempio, anche se con note sensuali, il poeta
vagheggiava l’amata considerando il contatto fisico una degradazione. Quale
miglior “espediente” per ottenere quella mancanza?
Platone
non la pensava tanto diversamente dai trovatori medievali (o forse viceversa).
Era lì per lui, in una dimensione spirituale, che viveva l’amore, nella
mancanza di un contatto fisico.
Oppure
i poeti del Decadentismo – ormai traditi dalla ragione – che ripiegavano sulla
trasgressione e sulla maledizione incitando al rifiuto della morale borghese.
Ma anche qui con un vuoto esistenziale profondo.
Per
arrivare a un moderno Jane Eyre di Charlotte Bronte. Un amore disperso in mille
traversie che soltanto alla fine sembra concludersi. Inseguimento a un
completamento che non viene mai raggiunto pienamente.
Pure
nel realismo sporco di Bukowsky, in cui la carnalità dei rapporti è l’aspetto
saliente, il vuoto che si apre sotto di esso è quello di una riunione mancata.
L’illusione che l’amore arrivi attraverso il sesso e la scoperta dell’angoscia
da questo derivante.
(Il sesso, in una storia di incompletezza e
completezza dei sentimenti, è il punto d’arrivo delle due metà che si
ritrovano, ma può essere anche considerato punto di partenza di una ricerca di
identificazione del protagonista che condurrà comunque e sempre allo stesso
climax: i due amanti che finalmente si riconoscono come persone mosse dalle
emozioni e non dai loro corpi).
Quindi
separare, dividere, allontanare per creare mancanza.
E
incendiare l’amore.
A
proposito di mancanza, possiamo individuare due livelli narrativamente diversi:
1)
Il primo dovuto a fattori esterni,
sociali o culturali. Per esempio, quasi tutti i romanzi fino all’Ottocento
rappresentano un mondo classico che si rifaceva a realtà essenzialmente
caratterizzate da categorie sociali o da livelli culturali diversi.
L’incompletezza e la completezza sentimentale dei due amanti, in questo caso,
non erano messe in discussione, erano quasi sempre due metà già riunite
all’inizio. Ma, come la spada di Zues che separa l’uomo dalla donna, a creare
la mancanza subentravano fattori esterni.
Un esempio emblematico, in questo senso, è la vicenda di
Romeo e Giulietta dove a produrre l’allontanamento sono le famiglie dei due
celebri amanti. I giovani si amano in maniera completa, non è questo il loro
problema. Ma le loro famiglie li allontanano, creano la mancanza.
Al cinema, tra molti altri, c’è un significativo “Indovina
chi viene a cena” dove l’allontanamento è reso dal padre, Spencer Tracy che,
con le sue idee appartenemente progressiste, pone ostacolo alla riunione dei
due innamorati (Sidney Poitier e Katharine Hougton) che non hanno alcun impedimento
interno: si amano ma devo lottare contro il pregiudizio.
2)
Il secondo livello, più
‘moderno’, è dovuto a fattori interni relativi alla
psicologia
del protagonista. È la caratteristica dei racconti da Freud in poi. Freud mette per la prima volta l’uomo davanti allo specchio dicendogli “c’è
qualcos’altro dentro di te oltre a quello che vedi riflesso.”
Nei
racconti d’amore ‘moderni’, il protagonista, all’inizio della storia, ha un
danno che deve sanare. Il cosiddetto fatal flaw che costringe il protagonista a
“lottare” contro sé stesso per poter raggiungere l’oggetto del suo desiderio.
Non ci sono impedimenti esterni (tranne come rinforzo della sua “lotta”).
I
due amanti vorrebbero amarsi ma non ci riescono. Perché intelligente una e emotivo
l’altro (o viceversa).
Il mancare, l'essere privo di qualche cosa, il fatto che qualche cosa manchi del tutto o non ve ne sia in misura sufficiente è una sensazione che proviamo, spesso non solo legata ai sentimenti di amore verso un'altra persona. Sentiamo anche un'inadempienza rispetto al nostro dovere di essere felici, l'inosservanza di un sentimento che ci riconosciamo e che deve rappresentare la nostra prima vera sfida.