martedì 18 giugno 2013

Scrivere un film

Qualcuno vi ha mai detto  che “Blade Runner” e “Jerry McGuire” sono lo stesso film? Che lo sono anche “Erin Brockovich” e “Il diario di Bridget Jones”? 
Immagino di no.
Dopo anni di sceneggiature e di copioni teatrali, di collaborazioni con illustri autori, e di corsi di sceneggiatura ai primordi della mia passione, mi sono accorto che alla fine tutte le storie parlavano sempre delle stesse cose. Storie diverse, con sfondi diversi, con personaggi diversi, ma che ruotavano sempre intorno agli stessi “eventi”.
Così ho provato a cercare una comunanza tra grandi gruppi di film, e sono emersi sei Proto-Soggetti - come li ho chiamati - sui quali si sono narrativamente costruiti e si costruiscono un’infinità di variazioni sul tema. Sei storie portanti, di base, che inglobano tutte le storie finora raccontate. 
Ma a che cosa serve sapere che tutte le storie finora narrate possano essere raggruppate in sei grandi racconti, al di là del fatto che ciò rappresenti una bella curiosità? Serve, soprattutto a chi scrive, a conoscere il senso di ciò che racconta, che anima nel profondo ciò che narra, a individuare cioè l'essenza di qualcosa a cui dà un inizio e una fine. 



Questa sensazione mi si è definita leggendo “L’epopea di Gilgamesh”, il libro più antico di cui si abbia riscontro, la cui redazione risale a circa duemilacinquecento anni avanti cristo.
Di cosa poteva scrivere un collega di quasi cinquemila anni fa?, mi sono chiesto. Di cosa aveva urgenza di parlare circondato da bestie feroci e da guerrieri sanguinari, magari nel gelo della tundra, impegnato in un’aspra lotta per la sopravvivenza, tra il sibilo d’una freccia o quello d’un colpo d’ascia? Visti i tempi, prima di leggerlo, ho immaginato trattasse storie di guerre e di soprusi. Conquiste e assedi. Memorabili battaglie o aspre lotte per il potere o bottini di guerra contesi. Niente di tutto questo.
“L’epopea di Gilgamesh” è praticamente la storia di “Un uomo da marciapiede”, il bellissimo film scritto da Valdo Salt con John Voigt e Dustin Hoffman. La storia, in sostanza, di un uomo con una bassa consapevolezza di sé che cresce incontrando un mentore che si sacrifica per lui.
Stupefacente, no? La stessa storia a distanza di quasi cinquemila anni.  
Chi ha copiato chi? Valdo Salt era a conoscenza della vicenda di Gilgamesh? Possibile. Oppure no. Ma il punto non è questo. Il punto è che Valdo Salt non era diverso da quell’autore sumero di cinquemila anni fa, né il sumero lo era da noi. Cioè tremila, o cinquemila, o ventimila anni fa l’uomo si grattava la testa più o meno per gli stessi motivi per cui lo fa oggi.
Perciò la domanda successiva è stata: che cosa ci rende così uguali nei millenni da aver bisogno di raccontare (e di ascoltare) sempre le stesse storie, nel corso del tempo declinate in maniera diversa in base alla cultura e ai costumi del momento?
Un’urgenza umana vitale, credo. La necessità di capire il significato del nostro agire, di trovare un senso alla nostra esistenza, alle difficoltà che certe volte ce la rendono invivibile. Soprattutto quando queste aspirazioni finiscono mescolate ai mille problemi quotidiani e noi stessi ne perdiamo la visione.
Ecco allora la meraviglia delle storie. La possibilità di vederci rappresentati da un protagonista che alla fine trova una risposta alle sue aspirazioni ottenendo una vita felice. Lui ce l’ha fatta! E usciamo dal cinema belli contenti come fossimo lui. 
Ma quali sono queste aspirazioni che ci rendono così uguali dalla notte dei tempi? Che ci uniscono in un ristrettissimo numero di storie? Aspirazioni, credo, che esprimono la necessità di completarci, di trovare una sintesi a una dualità (Vita/Morte e Amore/Non Amore) che è l'aspetto comune di tutte le storie - la nostra compresa - dal momento in cui cominciamo a raccontarle. 
Una dualità che ci è connaturata, che caratterizza aspetti biologici profondi, legati appunto alla Sopravvivenza e alla Procreazione. Sopravvivenza che, in senso narrativo, viene intesa come lotta tra Bene e Male, raccontata in quelle che chiameremo Storie di Morte. E Procreazione narrativamente intesa come contrapposizione tra incompletezza e completezza dei sentimenti, raccontata nelle Storie d'Amore.
Perché non esiste nessun altro tipo di racconto. Dopotutto perché dovrebbe, visto che sussistiamo solo ed esclusivamente per queste due funzioni primarie? E nelle forme in cui queste dualità si ricompongono stanno appunto i nostri proto-soggetti.

(Introduzione dell'ebook “Proto-soggetti - I segreti della scrittura”, prossimamente online)