lunedì 19 agosto 2013

Intelligenti o Emotivi?



Per facilitare la costruzione dei protagonisti di una storia, in genere immagino due categorie di persone: gli ‘intelligenti’ e gli ‘emotivi’. Due categorie umane che già con alcuni colleghi uso per indicare le visioni opposte e complementari dei due antagonisti.
L’‘intelligente’ e l’‘emotivo’ sono espressioni di risposte relative ad un unico problema di base, la ricerca dell’amore. Ciò li rende facce della stessa medaglia, simili a due fratelli (o sorelle) con gli stessi genitori: provengono dallo stesso “problema” ma hanno adottato risposte diverse. Capita spesso di osservarlo nei fratelli: “sono due gocce d’acqua, ma uno è l’opposto dell’altro!”
Cioè uno dei due fratelli (cosiccome succede tra uomo e donna), ha adottato una risposta ‘intelligente’, razionale, strategica, chiusa, che disattende la propria parte emotiva, mentre l’altro ne ha adottata una ‘emotiva’, temperamentale, aperta ed esposta alle delusioni. 
Due nicchie, o specializzazioni, atte alla sopravvivenza in un unico contesto - quello familiare e sociale - evitando sovrapposizioni.

In pratica per l’’intelligente’ esiste principalmente il mondo dell’altro da tenere a bada, sui cui regola le proprie reazioni; per l’’emotivo’ esiste solo il proprio mondo che fa da metro di misura per tutto ciò che sta al di fuori di lui.
Queste due categorie (naturalmente generiche, in realtà sappiamo che il nostro carattere è formato da una molteplicità di fattori), sono però utilissime nella costruzione dei personaggi di un film, soprattutto se si tratta commedie, meglio se sentimentali. Come sappiamo l’obiettivo del protagonista, soprattutto nella commedia sentimentale, è in sostanza quello di integrare la parte mancante. (Ovvero l’Anima junghiana, quella parte di noi 'intorpidita' che ci rende impossibile un amore pieno, cosa di cui all’inizio il protagonista mostra di soffrire).
Queste due grandi categorie – intelligente ed emotivo - fotografano bene le vicende sentimentali delle coppie rappresentate al cinema (o nei romanzi), solitamente formate da questi due grandi ‘caratteri’: uno intelligente, in genere l’uomo, l’altra emotiva, in genere la donna.
Un vecchio sceneggiatore - a spiegazione di questa divisione un po' brutale di ruoli - un giorno mi disse che questo era piuttosto inevitabile, che l'uomo cioè non andasse tanto per il sottile a differenza alla donna, poiché come spermatozoo inserito in una brutale lotta contro milioni di suoi simili al fine di conquistare un unico ovulo, che se avesse chiesto scusa o permesso non avrebbe fatto un metro.
In sostanza in un racconto o in un romanzo viene riprodotta questa stessa tensione biologica, e allo spermetto e all'ovuletta vengono dati un nome e un cognome, un vestito, una casa, un lavoro, degli amici. E questa riunione, a livello narrativo, è rappresentata dell'esplosione finale dell'amore.
Diciamo che questo genere di racconto - lui intelligente, lei emotiva - rappresenta il racconto base, all'interno del quale naturalmente esistono alcune variazioni narrative, di cui parleremo più avanti.
E noi, per scrivere un film, dobbiamo tenere conto di queste due caratterizzazioni estreme poiché – come detto – lo scopo del film è “soltanto” rappresentato dalla possibilità di far integrare le due parti al protagonista. (E lui infine chiede all'amata di sposarlo).

Una curiosità che si può rilevare rispetto alle coppie, nella vita reale (per le mie conoscenze e le mie esperienze), è che la coppia destinata a durare di più nel tempo è appunto la coppia formata da un intelligente e da una emotiva (quasi identiche le possibilità tra un emotivo e una intelligente); c’è poi la coppia formata da due emotivi, sia lui che lei: è la coppia che rappresenta il cosiddetto ‘colpo di fulmine’, due che s’incendiano e che si lasciano dopo al massimo un paio di anni; infine c’è la coppia formata da due intelligenti, coppia anomala, la cui genesi può richiedere mesi, se non addirittura anni. Abituati come sono a prendere in considerazione soltanto l’emotività dell’altro potrebbero metterci anni prima di riuscire a comunicare la propria.

Voi di che coppia siete? È un’osservazione che potete fare su voi stessi per capire la vostra ‘storia’, la sceneggiatura nella quale siete inseriti. Insomma, se volete cominciare una storia d’amore (come sceneggiatori perlomeno!), analizzate il tipo di protagonisti che volete mettere in campo. Questa suddivisione a livello narrativo dovrà essere netta per dare forza alla tensione che alla fine, vedendoli riuniti, moltiplicherà l'entusiasmo dello spettatore o del lettore.
L’esempio più classico di un intelligente e di una emotiva al cinema è Pretty Woman. Oppure esemplare è (in questo senso) Qualcosa è cambiato. Nella letteratura spiccano Orgoglio e Pregiudizio e il bellissimo Cime Tempestose. Ma ci sono moltissimi altri esempi sicuramente più pertinenti al vostro gusto.

Lui trattenuto e strategico, lei aperta ed esposta: due risposte differenti ad un unico problema. Risposte che abbiamo adottato in fasce e sulle quali ci siamo costruiti una vita (sognando un giorno d’incontrare la parte che ci manca).
Perché la vita affettiva di ciascuno di noi diventi piena e soddisfacente, è necessario perciò ritrovare l’altra risposta che non abbiamo adottato pochi attimi dopo aver emesso il primo vagito (la dolce metà, l’altra metà del cielo, l’anima gemella, etc., ect.) come, d’altro canto, ci aspettiamo che ciò succeda alla fine dei film d’amore che andiamo a vedere. Richard Gere che, nel finale, implora la splendida Julia Roberts.
E viviamo felici e contenti!

martedì 13 agosto 2013

Considerazioni su Olivia


Diamo ad Olivia, il personaggio femminile che ci siamo inventati per spiegare gli snodi narrativi di una storia (vedi i precedenti post), una ‘vita’ (lo faremo anche con Vincenzo). Useremo però la ‘vita‘ di Olivia per parlare del Secondo Atto (il più rognoso, la zona conflittuale) in modo da capire il problema centrale del protagonista, il suo fatal flow, a cosa egli resiste.
Si dice infatti che nel secondo atto c’è la resistenza del protagonista, ed è sempre piuttosto ostico comprenderlo dai libri e spesso nei corsi di sceneggiatura. Resiste a cosa? Proviamo a capirlo usando appunto Olivia.
Olivia a cosa potrebbe resistere? Si resiste per paura, in genere. Ho paura di un baratro e me ne tengo alla larga. Resisto al rischio di caderci dentro. Si pensa alla nostra fine, al tutto che finisce. Ma spesso la paura è anche la possibilità di una vita migliore vista con gli occhi di chi non ne ha mai avuta una. Ma che roba è? Oddio, e dopo che mi succede?
Considerazioni anche queste troppo razionali. In fondo dobbiamo raccontare emozioni non dimostrare teoremi.

Allora ricorriamo a un paradosso per inoculare nei nostri pensieri un’emozione intorno alla quale poter fare le nostre riflessioni.
Inquadriamo la paura di Olivia (dalla quale si difende resistendole), ipotizzando che ella s’immagini priva di una gamba. (Assurdo, lo so, ma a volte la nostra scarsa autostima ci priva di ben altro). In realtà Olivia le gambe ce le ha tutt’e due, va in giro, cammina, sale le scale, ma dentro di sé è convinta di avere soltanto una gamba. È la sua vita, quello che percepisce di sé stessa.
E mettiamo che Olivia abbia degli amici – Alberto, Francesco, Enrico, etc. – che, in virtù di questa sua mancanza, le offrano una carrozzella. Un gesto galante, persino generoso darle qualcosa sulla quale lei ‘possa mettere comoda’ l’idea che ha di sé stessa. Una grande risorsa per Olivia, soprattutto quando la sensazione di avere una gamba in meno, in certe giornate, la rende profondamente triste e sconsolata. Una carrozzella è un sollievo, un posto, da seduti, dove quella mancanza si azzera. Olivia, in quelle giornate strane, le va persino a cercare le carrozzelle! E quegli amici gliele porgono volentieri, magari per le cenette che Olivia offre loro in cambio. (Per gli amici niente di più piacevole, i manicaretti di Olivia sono noti). È un gioco delle parti: ciascuno prende e dà quello che può.

Abbiamo ipotizzato quale sia la paura di Olivia: sostanzialmente l’idea di poter avere due gambe. In pratica, la strenua difesa di quell'unica gamba che ha. Paradossale, no? Ora, dove sta la sua resistenza? Il Secondo Atto?
Per capirlo meglio inseriamo Vincenzo, il protagonista maschile della nostra ipotetica storia. Ad un certo punto Olivia conosce Vincenzo. Vincenzo ha, dal canto suo, una ferita emotiva che gli impedisce di avere una vita sociale e sentimentale serena, di cui però conosce l’esistenza. (Anche lui immagina di avere una gamba in meno, ma respinge l’idea delle carrozzelle).
Perciò la prima cosa che Vincenzo fa con Olivia, dato che se n’è innamorato, è cercare di mostrarle l’inganno delle carrozzelle. In fondo a cosa le servono? A trovare conforto in certi momenti, sì, ma anche a non camminare con le sue due gambe!

Ed ecco che si forma la resistenza del Secondo Atto dove siamo entrati. Olivia comincia a resistere ai tentativi di Vincenzo di sottrarle la carrozzella. Finisce che diventa una vera disputa tra loro, fonte di litigi e incomprensioni, ma Olivia non la molla. Perché per lei vorrebbe dire scoprire di avere due gambe, cioè rinunciare alla carrozzella, la rinuncia che le costa di più, per un consolidato modo di vivere, si potrebbe dire. Incredibile, no? Non riesce a fare a meno di uno strumento che certifica la sua menomazione frutto solo d’una suggestione. S’è costruita cioè un mondo che non è il suo mondo ma nel quale vive una vita…

Il rapporto con Vincenzo entra in crisi (mid point) nel momento in cui Olivia si rende conto che Vincenzo le sta offrendo la possibilità di camminare con tutt’e due le gambe. Olivia ne è sorpresa, un po’ spiazzata, non ha dimestichezza con quel genere di cose. Ci riflette, trova galante e generosa anche quell’offerta, la carrozzella delle carrozzelle! dal suo punto di vista, sicuramente l’opportunità di una vita migliore, meno ‘dipendente’, che però… mette troppo in discussione l’idea che ormai si è formata della propria gamba mancante, delle carrozzelle sulle quali è abituata a sedersi. Quali conseguenze comporterebbe il recupero (sempre e soltanto nella sua mente) dei due arti? Quali rivoluzioni? Certo un sogno, sì, ma…

Nella seconda parte del secondo atto, infatti, le carrozzelle non rappresentano più l'unico pensiero di Olivia, poiché la possibilità di non dipendervi più le permette di pensare ad altro. E se ci provassi? E se ci riuscissi? Il dilemma per Olivia diventano le sue stesse gambe che ora percepisce potenzialmente funzionanti. È una sfida, un’opportunità, perché no?
E ciò, paradossalmente, finisce per metterla in crisi. Perché immaginarsi con due gambe implicherebbe affrancarsi dagli stili di vita che fino a quel momento le hanno formato la personalità che crede di avere – cioè quella di una menomata – mettendo in discussione quell’“equilibrio” che s’era costruito, l’affrancamento da tutte le carrozzelle a cui dovrebbe dire addio. Ma come? Così all’improvviso? Che senso ha?

Nel frattempo Vincenzo le studia tutte per mostrarle il valore ingannevole di quelle carrozzelle, il diritto e il dovere che lei ha di abbandonarle, arrivando persino, per disperazione, ad accusarla di essere una donna senza una gamba! Possibile che non riesca a capire, si dice Vincenzo, neanche così? Davvero l’idea di avere una gamba in meno è così profondamente radicata in lei? Che neanche l’accusa di essere una ‘zoppa’ la scuote?

Olivia invece si chiude a riccio. Lo stimolo esterno è troppo forte, non sa gestirlo, non riesce a padroneggiarlo. Molto più facile con la sua carrozzella. E dice no, un no estremo. (Il punto di Morte). Un ‘no’ sordo, senza parole. Rifiuta il dialogo, il dialogo con quella vita perfettamente deambulante che le è stata prospettata da Vincenzo come condizione per continuare ad avere un rapporto, nell’idea che avere una sola gamba sia soltanto un’idea. Nient’altro.
Ma Olivia non può. Ormai la vita è andata com’è andata, stupido Vincenzo a non capirlo, a non approfittarne magari trasformandosi anche lui in una carrozzella. Se è così meglio abbandonarlo, è un chiaro segno che lui è diverso.

Ecco di cosa si parla, in questo caso simbolicamente, quando si parla di ‘resistenza’ del protagonista nel Secondo Atto. Si parla di CARROZZELLE. Tentativi disperati ed estremi, a volte davvero incomprensibili, di resistere ad una vita perfettamente deambulante.