La Prova
Suprema si trova all’incirca nella parte centrale del racconto. Il protagonista
viene da una serie di difficoltà e ostacoli, e ora percepisce la netta sensazione
di potercela fare. È un momento magico, fondamentale in un racconto. Ciò che il
protagonista voleva e ha inseguito per tutta la prima parte del racconto, sembra
finalmente a portata di mano.
Nelle Storie
d’Amore, il protagonista incontra la dolce metà, anima junghiana, sotto le vesti d’una Teresa o una Vanessa. Dopo
mille incomprensioni e contrasti alla fine riesce a stabilire con lei una ‘pace
apparente’ (molto spesso basata su uno stratagemma) e la invita magari al
ristorante. Se si tratta di una protagonista femminile, la nostra eroina sperimenterà
la possibilità di vivere il suo essere donna al dì là delle costrizioni sociali
o culturali, magari attraverso la forza di un Mentore.
Da notare che
nelle Storie d’Amore la scena della Prova Suprema si svolge molto spesso in un
ristorante, o in un pub o comunque in un luogo dove si condivide cibo. Condividere
il cibo ha infatti un valore psicologico molto profondo. Il momento in cui gli
sguardi brillano e il sorriso prende la forma di una paresi facciale…
Quello che in
realtà percepisce il protagonista in questo punto è la possibilità di ‘fare
sua’ quell’anima a cui aspirava (o animus, nel caso di una protagonista femminile).
Le ha resistito fino a questo momento, di conseguenza lei ha resistito a lui,
ma ora eccola lì, ce l’ha, è sua. Una bella vittoria che infonde al
protagonista una certa considerazione di sé. Per questo, in questa zona del
racconto, si parla di ‘Stato di Grazia’ del protagonista. Una conquista che gli
infonde un senso di trionfale onnipotenza.
Ugualmente nelle
Storie di Morte, il protagonista-detective o sceriffo o supereroe ha trovato il
punto debole dell’antagonista, o la prova schiacciante, o semplicemente il covo
dove si nasconde. Dopo mille traversie, il protagonista fa scattare la
trappola: il ‘cattivo’ non ha scampo.
Quello che però
il protagonista ancora non sa è che, in ambedue i tipi di storie, si tratta di
una ‘conquista’ che attinge a forze esterne, sorgenti di energia esterne a lui.
L’anima junghiana con la quale il
protagonista entra in contatto, nelle Storie d’Amore, di fatto non gli appartiene
se non nella capacità e nella determinazione avute nell’incontrarla al tavolo d’un
ristorante.
Così come nelle
Storie di Morte, il protagonista “stana” il cattivo grazie a una strategia che
lo coinvolge soltanto in parte, avendola attinta da una ricerca basata su indagini
e prove oggettive.
Ora ambedue
sono lì, vis-à-vis con la loro Ombra (anima
o animus che sia), eppure l’esito
della vicenda – per quanto elettrizzante l’evento - non pare per niente
scontato.
Un’incertezza
dovuta anche allo stratagemma adoperato dal protagonista per riuscire a fare
fronte a quell’incontro. Il ‘piano’ che ha escogitato per incontrare l’anima (o animus) in modo ‘protetto’, un ultima barriera per non sentirsene
preda, e che presto mostrerà tutte le fragilità.
Un vis-à-vis fondamentale
nel racconto, la sfida più grande, l’incontro con ciò che il protagonista desidera
di più e che al contempo più lo spaventa. Un paradosso?
Nelle Storie
d’Amore, il protagonista si sente abbastanza forte da invitare la propria Ombra
in un raffinato ristorantino (oppure da andare a stanarla nel suo covo, nelle
Storie di Morte) ma questa riunione-scontro sussiste appunto in una maniera esterna
al protagonista.
Cioè il
protagonista incontra l’Ombra (che più tardi scoprirà essere parte di sé) nelle
vesti di un’altra persona, una forza interiore che, invece di attingere da
dentro, mutua da fuori. Un po’ come vincere una gara di sprint facendosi
prestare le gambe da qualcun’altro. Un bel trionfo, però anche il segno di un
limite ben preciso.
Quello che il
protagonista percepisce come conquista rispetto alle proprie paure ed alle esitazioni
avute fino sa quel momento, in realtà coincide col primo segnale di una crisi. In
un certo senso il protagonista vede la
morte negli occhi proprio nel momento in cui è sufficientemente forte per affrontarla.
L’anima è finalmente sua, incarnata però
da qualcun altro, quindi non completamente sua. Un’acquisizione parziale. E l’onnipotenza
della conquista si rivelerà presto un’illusione.
Si ritiene che
questo snodo segnali aspetti ancora infantili. Il bambino abbandonato recupera
la madre, e ciò lo fa sentire forte e onnipotente. Allora si fa spigliato,
simpatico, una ‘forza della natura’, difficile resistergli. Poco dopo, nella
Fine dello Stato di Grazia, scoprirà che di fronte non ha la madre, ma una donna
con diverse aspirazioni che giustamente reclama.
Quindi si
potrebbe dire che la prima parte di un racconto rappresenta, emotivamente
parlando, l’infanzia del protagonista, mentre la seconda parte rappresenta il suo
tentativo di rendersi adulto.
Nelle Storie di
Morte lo stato emotivo non è differente. Luke Skywalker, in Star Wars, ha
raggiunto un buon livello di padroneggiamento delle proprie qualità e, impugnando
la spada laser, dice a Yoda che è pronto ad affrontare la prova più importante.
Yoda sorride, gli risponde che per affrontare questo tipo di prova la spada non
serve, volendo così indicargli un tipo di conflitto che presto scoprirà all’’interno
di sé’, non più ‘fuori di sé’ come finora ha pensato. Ma Luke non sente ragioni,
troppo pieno di sé in questo momento…
La Prova
Suprema rappresenta il contatto pieno e profondo con la parte più vitale di noi
che finalmente raggiungiamo senza più quegli ostacoli (resistenze personali)
che ci hanno condizionato. È l’Incontro con la Dea, come dice Joseph Campbell. La
fonte dell’energia pura, il magico incontro. Un luce intensa che lascia intuire
una vita senza ombre, che le fa svanire in un soffio. L’amore che, incontrato
pienamente per la prima volta, in quell’entusiasmo dà l’idea di quanto sia mancato.
Chi non ha nel
cuore un momento simile? In cui la vita si è fermata nella fotografia di un istante
magico? Di qualcosa di sorprendentemente ritrovato? Niente che ci potesse
scalfire, tutto il mondo era lì, non c’era altro intorno. E poi cosa è
successo? Ci si è risvegliati? Da cosa?
Nella Prova
Suprema il protagonista contatta aspetti molto profondi che prima temeva e che ora
pensa di padroneggiare. Percepisce di poter sollevare il mondo, e in effetti la
possibilità è proprio questa. Soltanto che è una forza surrogata dall’esterno, la
attinge da ‘fuori’ e non da ‘dentro’, perciò si tratta di una percezione
illusoria.
La Prova
Suprema ha molto in comune con il Climax. Nella Prova Suprema il protagonista incontra
e sperimenta una possibilità molto vitale, successivamente viene da essa messo
in crisi non per il diritto che ha di rivendicarla, ma perché il suo
cambiamento è solo parziale. Ha visto ciò che potrebbe essere, ma ancora non lo
possiede.
Lo scontro
fisico, o psicologico, che avviene con l’antagonista nella Prova Suprema gli lancia
un messaggio: alle aspirazioni va applicata una più profonda convinzione, e tale
convinzione ha molto a che fare con le emozioni. Deve credere intimamente in
ciò che fa e andare di nuovo allo scontro con l’antagonista che, appunto per
questo, nel Climax verrà sconfitto.
Nella Prova
Suprema, soprattutto nelle Storie di Morte, quest’aspetto è ben chiaro. Come
detto, in un thriller il protagonista-detective ha cercato d’incastrare il cattivo
con le prove accumulate fino a quel momento e, nella Prova Suprema, lo inchioda
a una qualche seria conseguenza. Quindi il protagonista-detective ha tutti gli
strumenti in mano per sconfiggerlo ma il cattivo gli sfugge perché il
protagonista non ha ancora unito gli strumenti ‘esterni’ a quelli ‘interni’. E
quasi sempre lo ‘strumento interno’ è rappresentato, nelle Storie di Morte,
dalla necessità del protagonista di sopravvivere fisicamente alla minaccia di
morte del cattivo. Alla fine egli dovrà provvedere anche a salvare la pelle
(climax).
Possibilità di
Vita e rischio di Morte nella Prova Suprema si mescolano.
Più chiaramente al protagonista questo conflitto apparirà nel Climax, quando sarà
chiamato a fare una scelta netta tra questi due aspetti.
In “Notting
Hill” questo momento viene romanticamente rappresentato da una lunga sequenza
in cui William Thacker (Hugh Grant) e Anna Scott (Julia Roberts) condividono
momenti piacevoli e intimi, prima a casa dell’ex moglie di William, poi in giro
di notte per le strade di Londra. Il temuto “mito” Anna Scott, agli occhi per
William, appare ora umano e alla portata dei suoi imbarazzi. Sembra conoscerla
da sempre, molto meno “pericolosa” di quanto immaginava ma… molto presto,
all’arrivo in albergo, queste sue certezze crolleranno.
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