lunedì 19 maggio 2014

SUPREME ORDEAL: LA 'PROVA SUPREMA'


La Prova Suprema si trova all’incirca nella parte centrale del racconto. Il protagonista viene da una serie di difficoltà e ostacoli, e ora percepisce la netta sensazione di potercela fare. È un momento magico, fondamentale in un racconto. Ciò che il protagonista voleva e ha inseguito per tutta la prima parte del racconto, sembra finalmente a portata di mano.

Nelle Storie d’Amore, il protagonista incontra la dolce metà, anima junghiana, sotto le vesti d’una Teresa o una Vanessa. Dopo mille incomprensioni e contrasti alla fine riesce a stabilire con lei una ‘pace apparente’ (molto spesso basata su uno stratagemma) e la invita magari al ristorante. Se si tratta di una protagonista femminile, la nostra eroina sperimenterà la possibilità di vivere il suo essere donna al dì là delle costrizioni sociali o culturali, magari attraverso la forza di un Mentore.
Da notare che nelle Storie d’Amore la scena della Prova Suprema si svolge molto spesso in un ristorante, o in un pub o comunque in un luogo dove si condivide cibo. Condividere il cibo ha infatti un valore psicologico molto profondo. Il momento in cui gli sguardi brillano e il sorriso prende la forma di una paresi facciale…
Quello che in realtà percepisce il protagonista in questo punto è la possibilità di ‘fare sua’ quell’anima a cui aspirava (o animus, nel caso di una protagonista femminile). Le ha resistito fino a questo momento, di conseguenza lei ha resistito a lui, ma ora eccola lì, ce l’ha, è sua. Una bella vittoria che infonde al protagonista una certa considerazione di sé. Per questo, in questa zona del racconto, si parla di ‘Stato di Grazia’ del protagonista. Una conquista che gli infonde un senso di trionfale onnipotenza.

Ugualmente nelle Storie di Morte, il protagonista-detective o sceriffo o supereroe ha trovato il punto debole dell’antagonista, o la prova schiacciante, o semplicemente il covo dove si nasconde. Dopo mille traversie, il protagonista fa scattare la trappola: il ‘cattivo’ non ha scampo.

Quello che però il protagonista ancora non sa è che, in ambedue i tipi di storie, si tratta di una ‘conquista’ che attinge a forze esterne, sorgenti di energia esterne a lui.
L’anima junghiana con la quale il protagonista entra in contatto, nelle Storie d’Amore, di fatto non gli appartiene se non nella capacità e nella determinazione avute nell’incontrarla al tavolo d’un ristorante.
Così come nelle Storie di Morte, il protagonista “stana” il cattivo grazie a una strategia che lo coinvolge soltanto in parte, avendola attinta da una ricerca basata su indagini e prove oggettive.
Ora ambedue sono lì, vis-à-vis con la loro Ombra (anima o animus che sia), eppure l’esito della vicenda – per quanto elettrizzante l’evento - non pare per niente scontato.
Un’incertezza dovuta anche allo stratagemma adoperato dal protagonista per riuscire a fare fronte a quell’incontro. Il ‘piano’ che ha escogitato per incontrare l’anima (o animus) in modo ‘protetto’, un ultima barriera per non sentirsene preda, e che presto mostrerà tutte le fragilità.

Un vis-à-vis fondamentale nel racconto, la sfida più grande, l’incontro con ciò che il protagonista desidera di più e che al contempo più lo spaventa. Un paradosso?
Nelle Storie d’Amore, il protagonista si sente abbastanza forte da invitare la propria Ombra in un raffinato ristorantino (oppure da andare a stanarla nel suo covo, nelle Storie di Morte) ma questa riunione-scontro sussiste appunto in una maniera esterna al protagonista.
Cioè il protagonista incontra l’Ombra (che più tardi scoprirà essere parte di sé) nelle vesti di un’altra persona, una forza interiore che, invece di attingere da dentro, mutua da fuori. Un po’ come vincere una gara di sprint facendosi prestare le gambe da qualcun’altro. Un bel trionfo, però anche il segno di un limite ben preciso.

Quello che il protagonista percepisce come conquista rispetto alle proprie paure ed alle esitazioni avute fino sa quel momento, in realtà coincide col primo segnale di una crisi. In un certo senso il protagonista vede la morte negli occhi proprio nel momento in cui è sufficientemente forte per affrontarla. L’anima è finalmente sua, incarnata però da qualcun altro, quindi non completamente sua. Un’acquisizione parziale. E l’onnipotenza della conquista si rivelerà presto un’illusione.

Si ritiene che questo snodo segnali aspetti ancora infantili. Il bambino abbandonato recupera la madre, e ciò lo fa sentire forte e onnipotente. Allora si fa spigliato, simpatico, una ‘forza della natura’, difficile resistergli. Poco dopo, nella Fine dello Stato di Grazia, scoprirà che di fronte non ha la madre, ma una donna con diverse aspirazioni che giustamente reclama.

Quindi si potrebbe dire che la prima parte di un racconto rappresenta, emotivamente parlando, l’infanzia del protagonista, mentre la seconda parte rappresenta il suo tentativo di rendersi adulto.

Nelle Storie di Morte lo stato emotivo non è differente. Luke Skywalker, in Star Wars, ha raggiunto un buon livello di padroneggiamento delle proprie qualità e, impugnando la spada laser, dice a Yoda che è pronto ad affrontare la prova più importante. Yoda sorride, gli risponde che per affrontare questo tipo di prova la spada non serve, volendo così indicargli un tipo di conflitto che presto scoprirà all’’interno di sé’, non più ‘fuori di sé’ come finora ha pensato. Ma Luke non sente ragioni, troppo pieno di sé in questo momento…

La Prova Suprema rappresenta il contatto pieno e profondo con la parte più vitale di noi che finalmente raggiungiamo senza più quegli ostacoli (resistenze personali) che ci hanno condizionato. È l’Incontro con la Dea, come dice Joseph Campbell. La fonte dell’energia pura, il magico incontro. Un luce intensa che lascia intuire una vita senza ombre, che le fa svanire in un soffio. L’amore che, incontrato pienamente per la prima volta, in quell’entusiasmo dà l’idea di quanto sia mancato.

Chi non ha nel cuore un momento simile? In cui la vita si è fermata nella fotografia di un istante magico? Di qualcosa di sorprendentemente ritrovato? Niente che ci potesse scalfire, tutto il mondo era lì, non c’era altro intorno. E poi cosa è successo? Ci si è risvegliati? Da cosa?

Nella Prova Suprema il protagonista contatta aspetti molto profondi che prima temeva e che ora pensa di padroneggiare. Percepisce di poter sollevare il mondo, e in effetti la possibilità è proprio questa. Soltanto che è una forza surrogata dall’esterno, la attinge da ‘fuori’ e non da ‘dentro’, perciò si tratta di una percezione illusoria.

La Prova Suprema ha molto in comune con il Climax. Nella Prova Suprema il protagonista incontra e sperimenta una possibilità molto vitale, successivamente viene da essa messo in crisi non per il diritto che ha di rivendicarla, ma perché il suo cambiamento è solo parziale. Ha visto ciò che potrebbe essere, ma ancora non lo possiede.
Lo scontro fisico, o psicologico, che avviene con l’antagonista nella Prova Suprema gli lancia un messaggio: alle aspirazioni va applicata una più profonda convinzione, e tale convinzione ha molto a che fare con le emozioni. Deve credere intimamente in ciò che fa e andare di nuovo allo scontro con l’antagonista che, appunto per questo, nel Climax verrà sconfitto.

Nella Prova Suprema, soprattutto nelle Storie di Morte, quest’aspetto è ben chiaro. Come detto, in un thriller il protagonista-detective ha cercato d’incastrare il cattivo con le prove accumulate fino a quel momento e, nella Prova Suprema, lo inchioda a una qualche seria conseguenza. Quindi il protagonista-detective ha tutti gli strumenti in mano per sconfiggerlo ma il cattivo gli sfugge perché il protagonista non ha ancora unito gli strumenti ‘esterni’ a quelli ‘interni’. E quasi sempre lo ‘strumento interno’ è rappresentato, nelle Storie di Morte, dalla necessità del protagonista di sopravvivere fisicamente alla minaccia di morte del cattivo. Alla fine egli dovrà provvedere anche a salvare la pelle (climax).

Possibilità di Vita e rischio di Morte nella Prova Suprema si mescolano. Più chiaramente al protagonista questo conflitto apparirà nel Climax, quando sarà chiamato a fare una scelta netta tra questi due aspetti.

In “Notting Hill” questo momento viene romanticamente rappresentato da una lunga sequenza in cui William Thacker (Hugh Grant) e Anna Scott (Julia Roberts) condividono momenti piacevoli e intimi, prima a casa dell’ex moglie di William, poi in giro di notte per le strade di Londra. Il temuto “mito” Anna Scott, agli occhi per William, appare ora umano e alla portata dei suoi imbarazzi. Sembra conoscerla da sempre, molto meno “pericolosa” di quanto immaginava ma… molto presto, all’arrivo in albergo, queste sue certezze crolleranno.

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